Tra poche settimane spegnerà la ventesima candelina. Un compleanno che arriverà poco prima dell’inizio dei lavori per la realizzazione della nuova sede che, oltre a innalzare la qualità del lavoro quotidiano dei ricercatori, darà lustro a una realtà che ancora oggi non è conosciuta da molti. Si tratta dell’Istituto di microelettronica e microsistemi del Cnr, che a Catania ha la sede principale delle sei presenti in Italia. Una presenza che potrebbe tornare utile anche convincere Intel a puntare sul capoluogo etneo per l’investimento che la multinazionale dovrebbe fare in Italia, anche se al governo nazionale – su tutti il ministro Giorgetti – c’è chi vorrebbe che la scelta ricadesse nel Nord Italia. A dirigere il Cnr-Imm è Vittorio Privitera.
Direttore, tra non molto per l’istituto ricorrerà un anniversario importante.
«Saranno i nostri primi vent’anni. A novembre del 2001 ci fu l’atto costitutivo dell’istituto, mentre le attività iniziarono pochi mesi più tardi con l’insediamento del primo direttore. Noi festeggeremo questa tappa importante in occasione del congresso che porterà a Catania i ricercatori di tutte le altre sedi, quindi Bologna, Agate Brianza, Roma e Lecce (la sesta è all’Università di Catania, ndr)».
Com’è cambiata l’attività di ricerca nel vostro campo in questi vent’anni?
«Noi ci occupiamo di microelettronica, sensoristica e fotonica. Svilupiamo materiali che possono trovare applicazioni in tanti settori, molte volte interconnessi tra loro. In questi decenni sono cambiate molte cose: in principio si lavorava molto sulla microelettronica, oggi tanto impegno è rivolto alle applicazioni nel campo del fotovoltaico. Ma spaziamo su più fronti: dal settore della depurazione dell’acqua all’agricoltura di precisione. Un ruolo fondamentale, da circa dieci anni a questa parte, lo hanno le nanotecnologie, la nostra attività quotidiana si concentra sulle proprietà della materia nell’ordine del miliardesimo di metro».
Il Cnr è il più grande ente di ricerca in Italia. Quanto è importante che il pubblico investa soldi?
«La ricerca pubblica è fondamentale per la crescita di un Paese. Perché se l’industria ha la necessità di produrre e vendere, chi lavora nel campo della ricerca pubblica ha la possibilità di dedicarsi ad attività che magari nell’immediato non hanno un ritorno ma che in prospettiva possono aprire segmenti di mercato notevoli».
Spesso si pensa ai ricercatori come a individui che vivono chiusi nei laboratori, un po’ staccati dal mondo.
«La realtà è ben diversa. La nostra attività è inevitabilmente legata alla società, in particolar modo con il mondo dell’industria, a cui spetta portare avanti i risultati delle nostre ricerche. Inoltre avere finanziamenti pubblici non ci sottrae dalla competizione, tutt’altro: i fondi che riceviamo servono perlopiù a pagare gli stipendi e le spese di base, mentre poi sono gli istituti che vanno a caccia dei finanziamenti per le ricerche. Per questo bisogna presentare progetti che convincano gli enti finanziatori: dall’Unione europea allo Stato, fino alla Regione».
Ciò però in qualche modo influenza l’indirizzo delle vostre ricerche. Non vi sentite limitati?
«Non è qualcosa che ci crea problemi. D’altra parte è giusto che il nostro lavoro sia diretto a soddisfare le necessità della società. Al momento l’Europa ci dice che sono cinque le mission: salute, oceani puliti, qualità del cibo, cancro e città intelligenti. Troviamo naturale orientare le nostre competenze verso questi campi».
A tenere banco da qui in avanti sarà la transizione energetica.
«Si tratta di un tema che assorbe molto del nostro impegno. Le ricerche nella fotonica e nel campo delle proprietà ottiche dei materiali possono essere applicate nel campo del fotovoltaico, ma abbiamo in cantiere anche progetti per la depurazione delle acque grigie e per la produzione dell’idrogeno».
Qual è il vostro rapporto con il tessuto imprenditoriale?
«Molto dipende dal contesto territoriale. A Bologna, per esempio, l’istituto ha molti rapporti con le piccole e medie imprese, mentre a Catania collaboriamo in maniera intensa con la STMicroeletronics, Enel Green Power e Lpe. Ma abbiamo anche rapport – ed è il caso della ricerca sull’applicazione delle nanotecnologie per la depurazione – con piccole imprese siciliane».
Il vostro impegno è anche sul fronte della divulgazione.
«I motivi per cui è improtante sono tanti. Intanto perché serve a far capire che i soldi spesi nella ricerca sono soldi che portano benefici a ogni comunità. Inoltre raccontare le nostre attività serve anche a far avvicinare i giovani e così ad attirare nuovi talenti».
Avere a che fare con enti pubblici comporterà anche qualche contrattempo.
«Diciamo che spesso capita di imbatterci in una burocrazia un po’ troppo complessa, che rischia di rallentare le procedure. Per il resto credo il Cnr a Catania soffra ancora la mancanza di una figura rappresantiva: oltre all’Imm, sono tanti gli istituti presenti in città, ma non esiste un soggetto che li rappresenti tutti e questo inevitabilmente a livello di immagine ci taglia un po’ fuori dai tavoli di confronto».
Tra qualche tempo potrete usufruire di una nuova sede.
«Sarà un investimento molto importante che si aggira attorno ai 40 milioni di euro. La gara d’appalto per affidare i lavori di realizzazione è in fase conclusiva, poi serviranno circa tre anni per il completamento delle opere. Avremo delle camere bianche, ovvero dei laboratori con livelli di polverosità bassissimi e controllati, molto più grandi dell’attuale e spazi molto più ampi».
Sarà un’occasione anche per offrire nuovi posti di lavoro?
«L’impegno sarà innanzitutto quello di intercettare ancora più fondi, anche tramite il Pnrr, per finanziare le ricerche. Ciò di conseguenza porterà a poter assegnare un maggior numero di borse di studio e di dittorato, assegni di ricerca e fare assunzioni a tempo determinato. Soltanto a Catania, tra la sede centrale e quella universitaria, al momento lavora un’ottantina di professionista. La nostra presenza è importante anche sul fronte dell’occupazione».
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