Contro l’idea commerciale di pensare alla cultura unicamente come «attrattore turistico», occorre sviluppare capacità di autocritica e volontà di proiettarsi oltre i farraginosi sistemi burocratici. Di questo si è discusso nel corso della tavola rotonda I luoghi del teatro, che si è svolta ieri a Palazzo Branciforte, alla quale hanno partecipato alcuni tra i direttori artistici dei teatri e dei festival siciliani. Erano presenti Roberto Alajmo (Teatro Biondo Palermo), Luca Mazzone (Teatro Libero Incontroazione), Claudio Collovà (Orestiadi Gibellina), Rosario Perricone (Festival di Morgana), Gigi Spedale (Latitudini). Costretto al forfait dell’ultimo momento Ninni Bruschetta, l’attore messinese che dirige il Teatro Vittorio Emanuele nella città dello Stretto; presente invece una delegazione dell’assemblea del Teatro Montevergini, lo spazio «liberato» da «un gruppo informale di cittadini» lo scorso 7 ottobre e al centro di molti discorsi dei partecipanti.
L’incontro rientrava all’interno del Festival Teatro Bastardo, con l’intenzione di creare relazioni tra luoghi e operatori culturali, per «superare i confini» facendo leva sull’identità meticcia e itinerante che è propria del festival. L’auspicio, introdotto dal direttore Giovanni Lo Monaco, era proprio quello di «fare rete»: un proposito in realtà, come ribadito dagli stessi relatori, invocato da anni ma con una concreta difficoltà ad attuarsi. Molte le cause individuate.
A partire dall’assenza di «politici in sala», come fatto notare da Claudio Collovà. «Sono andato agli Stati generali del turismo a Taormina – ha raccontato il direttore del festival Orestiadi di Gibellina – e lì c’era il gotha, stavano organizzando la Sicilia e non c’era opposizione. Provavo grandissimo disagio perché c‘era una distanza abissale tra la creazione e la spartizione, tra il fare artistico e l’attenzione al turista che dovrebbe imbattersi in una qualsiasi cosa che sia uno spettacolo teatrale. La critica insomma era rivolta alla concezione della cultura – e del teatro nello specifico – come attrattore turistico e non più come spettacolo artistico».
Per Luca Mazzone, se «i problemi del teatro sono sempre gli stessi da almeno 20 anni» lo si deve a «una politica che è troppo invadente, ben venga allora la sussidiarietà ad esempio del terzo settore: c’aveva provato il ministro Bray nel 2014, o la Regione Puglia col sistema delle residenze. Qui invece abbiamo tante funzioni ma poche competenze». Il direttore del Teatro Libero conclude con una citazione del giudice Rosario Livatino che è anche una sottile autocritica: «Nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti ma credibili».
Roberto Alajmo ha puntato il dito su un altro aspetto: «Il problema non è solo la politica ma la burocrazia, a monte c’è un sistema di regole italiano che è paralizzante». Per poi fare riferimento al Montevergini, rivolgendosi direttamente alla delegazione di occupanti: «Quello spazio è un convento ma non un teatro, poi io al Biondo con le risorse che ho tengo le ali piegate, il nostro teatro è un grosso tacchino che probabilmente non volerà mai».
Insomma, accanto alla consapevolezza che a Palermo «gli spazi ci sono, bisogna rovesciare la piramide dal basso», è venuta fuori una proposta che ha trovato sostanzialmente d’accordo i presenti. Ovvero una «mappatura della città culturale, per avere una geografia inclusiva, e il modello dell’uso civico proposto dal Montevergini può essere un modello, anche se Palermo è in parte diversa da Napoli».
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