I ladri della Biga avevano tentato rapina in banca In azione con la complicità del funzionario infedele

«Se dobbiamo fare la cosa seria non dobbiamo giocare». La cosa seria da fare è una rapina alla filiale della banca Monte Paschi di Siena di Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa. I ladri che la organizzano fanno parte del gruppo che, con un elicottero, ha portato via dal cimitero di Catania la riproduzione della Biga di Morgantina nel giugno del 2017.

Perché a essere presa di mira è la banca di un paese di collina alle porte dei monti Iblei? Come ricostruito dagli inquirenti, in quell’istituto di credito c’è un «dipendente infedele» che rende tutto più semplice «fungendo da basista». Lui è Gianluca Costantino che, però, si fa chiamare Stefano «per impedire che eventuali intercettazioni potessero fare risalire alla sua persona». Il piano, organizzato nei dettagli da mesi, fallisce per l’intervento delle forze dell’ordine che stavano già intercettando le conversazioni del gruppo. In carcere sono finiti Nuccio Ardito, Francesco Corio, Antonio Corio (figlio di Francesco), Gianluca Costantino, Angelo Dario Lo Giudice e Giovanni Messina. Ai domiciliari invece Antonio Corio (detto Topolino).

Il primo incontro monitorato è dell’8 maggio 2018. L’auto con a bordo Giovanni Messina e Antonio Corio è appostata vicino alla banca di via Vittorio Emanuele, la strada principale di Canicattini Bagni. Quando Costantini esce lo intercettano ma vengono redarguiti perché l’incontro avrebbe potuto metterlo in difficoltà con i colleghi. «Quando sarà quello che è, ce li dividiamo e non se ne parla più», dice Messina a chiarimento dei termini dell’accordo per dividersi i proventi. E nell’ottica di fingere un’aggressione al bancario, propone: «Prendi qualche pugno nella schiena tu, al solito». Per rendere la cosa più credibile, il gruppo ipotizza anche di strappargli la maglietta. Ma è l’espressione «al solito» a portare gli investigatori a ritenere che per il dipendente infedele non sia la prima volta. Sarebbe lui, infatti, il basista della rapina consumata al Monte Paschi di Siena di Floridia, sempre nel Siracusano, il 5 ottobre 2017. 

Tuttavia il colpo da mettere a segno a Canicattini si scontra con diversi ostacoli. Primo tra tutti la rottura della bussola d’ingresso della banca che ha richiesto la presenza di una guardia giurata particolare. «L’ho visto io là con i miei occhi, al cane», dice Messina. Da quel momento, il gruppo resta in attesa che Costantini dia il via libera. Lui tarda e loro si ripresentano in paese diverse volte in pochi giorni per sollecitarlo. Dalle intercettazioni ambientali emerge come il dipendente accetti che la rapina venga fatta con modalità violente: l’idea dei rapinatori è minacciare il direttore della filiale di colpire i figli se non fosse stato accondiscendente alla richiesta di aprire la cassaforte

La data viene fissata per il 3 luglio, giorno in cui non era prevista l’assenza di alcuni dipendenti e il rifornimento in banca del denaro per le operazioni di sportello. La rapina, però, salta per un controllo del territorio (mirato a loro insaputa) dei carabinieri. Il gruppo ci riprova alla fine del mese. È la mattina del 31 luglio quando partono alla volta di Canicattini Bagni a bordo di una Alfa Romeo Giulietta rubata il giorno prima a Catania. Alle 13.30 il comandante dei carabinieri li intercetta nell’auto a 30 metri dalla banca. Comincia un rocambolesco inseguimento che finisce quando la macchina sbatte contro un muro di recinzione

Dopo una breve fuga a piedi, Nuccio Ardito, i cugini Antonino e Francesco Corio e Angelo Lo Giudice vengono arrestati con il volto coperto da passamontagna, sciarpe e scaldacollo. Le accuse mosse nei loro confronti sono resistenza a pubblico ufficiale e ricettazione. «Maresciallo, ci siamo andati a fare una passeggiata», dice Francesco Corio ai carabinieri. Dentro la macchina vengono trovati anche due taglierini. Restano non identificati Giovanni Messina (che si trova a bordo di un’auto pulita, ferma poco lontano e che sarebbe servita per la fuga) e Antonio Corio che riesce a dileguarsi in tempo. 

Nei giorni successivi, il gruppo si scervella per ricostruire quanto accaduto. Viene scartata l’ipotesi che possa essere stato Costantino ad autodenunciarsi: «Quello se la metteva nel culo da solo?». Viene presa in considerazione, invece, l’idea che a essere intercettate fossero le conversazioni della moglie di Ardito, ascoltata a sua insaputa mentre si vantava con le amiche delle gesta del marito e dei potenziali guadagni che avrebbe ricavato

Marta Silvestre

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