«I giovani? Sono i veri intellettuali»

«Il giovane è un intellettuale, e per questo soffre. I giovani si interrogano ancora sul senso della vita, cosa che di solito gli adulti non fanno. E i primi che dovrebbero rendersi conto di questo sono proprio i professori». Romano Luperini, docente di Letteratura Italiana all’Università di Siena, autore di numerosi studi e di uno dei più famosi manuali scolastici, parla di letteratura senza dimenticare la realtà del nostro tempo. E così l’incontro su «La figura del giovane nel romanzo italiano tra Ottocento e Novecento» non è stato solo una lezione su Svevo e su Tozzi, ma anche un’occasione per riflettere sul ruolo della scuola, sulle radici del disagio giovanile e più in generale sull’immagine dei giovani diffusa nel nostro tempo.

L’incontro, che si è tenuto giovedì scorso nell’aula magna dei Benedettini, è stato organizzato dalla sezione catanese dell’Associazione degli Italianisti Italiani (ADI). A fianco di Luperini hanno partecipato i professori Nicolò Mineo e Andrea Manganaro, della facoltà di Lettere di Catania.

Secondo Luperini i cambiamenti storici, politici e sociali avvenuti tra ‘800 e ‘900 hanno segnato una svolta epocale, che interessa anche il nostro tempo.  «I giovani di oggi non sono poi tanto diversi dal protagonista de “I Malavoglia” di Verga, così come non è difficile che si rispecchino nel personaggio di Pietro di Federico Tozzi (protagonista del romanzo “Con gli occhi chiusi”)». La moderna condizione del giovane può forse riassumersi in una frase tratta dal racconto Pittori dello stesso Tozzi: «la nostra giovinezza è una specie di malattia che non ci lascia il tempo di guarire». Giovinezza dunque come condizione di esclusione dalla realtà, senso di non appartenenza, esilio interiore dei personaggi. «I giovani protagonisti dei romanzi di formazione di fine ‘800 e inizi ‘900 incarnano la stessa “alienazione dalla vita” dei ragazzi d’oggi… giovani sonnamboli, spaesati, incapaci di tutto, giovani che soffrono nel vivere una realtà che non sentono la loro». Giovinezza dunque, almeno nella letteratura occidentale, come condizione negativa. Tanto che, per poter citare esempi di giovani “in positivo” Luperini deve tornare alla letteratura della Resistenza; oppure, uscendo dalla letteratura, deve prendere l’esempio direttamente dalla realtà. Citando il coraggio di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra.

Altri temi dell’incontro sono stati il rapporto studenti-insegnanti e il problema dell’insegnare la letteratura in una società che relega sempre più ai suoi margini la scrittura e la lettura. Ormai si dimentica che, come ha osservato il professore Manganaro, «il testo letterario fornisce, come pochi altri elementi, occasione di maturazione, sviluppo e confronto». «Bisogna ricordare – ha poi detto il professor Mineo – che il letterato è colui che vede in modo diverso perché punta lo sguardo sulle problematiche di tipo esistenziale». Ma secondo Luperini l’insegnamento della letteratura deve rinnovarsi: «la storia della letteratura per medaglioni e compartimenti stagni ormai serve poco. Penso che occorra insegnare attraverso percorsi tematici, seguendo un itinerario che attraversi storia, arte, musica, cinema e letteratura. Seppure oggi viviamo in una società audiovisiva, in cui domina il multimediale a scapito del libro, le domande che i giovani si pongono non sono cambiate». A guidare l’insegnante, sostiene infine Luperini, deve esserci sempre un principio di onestà: «Ai giovani va detta la verità, per brutta e sconfortante che sia. Loro, come intellettuali, potranno disapprovarla. A noi tocca dar loro il linguaggio con cui ci contesteranno. D’altra parte, che razza di mondo gli abbiamo dato?»

Federica Motta

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