I Forconi raccontati ai lettori di New York

di Giulio Ambrosetti

Chi sono i Forconi? Il mio amico Stefano Vaccara, da New York, cerca giustamente di capire chi sono queste persone che protestano. Mi chiede, leggendo certi giornali italiani: “E’ vero che sono fascisti?”.
La domanda di Stefano, purtroppo, è legittima perché l’Italia, ormai, è un Paese finito. Dove, pur di difendere ciò che è indifendibile, non si esita a gettare fango su chi protesta con mille ragioni per protestare. Ma andiamo ai fatti.
Partendo da un presupposto: che in Italia, a parte la sceneggiata della ‘Marcia su Roma’ e le adunate oceaniche per ascoltare i discorsi di Benito Mussolini, il fascismo non è mai stato un fenomeno di massa. Forse la rivolta di Reggio Calabria, dei primi anni ’70 del secolo passato, potrebbe essere etichettata fascista: ma in quel caso furono i fascisti a interpretare il malessere sociale di allora.
A Reggio Calabria fu il Pci a non voler intestarsi quella rivolta e non i fascisti a organizzarla. Fu una rivolta sociale popolare dove i fascisti occuparono con astuzia un vuoto politico. Rilievo, questo, che non ci inventiamo noi, ma un grande dirigente del Pci dell’epoca, Giorgio Amendola, che pur essendo il leader dell’ala ‘liberale’ del Partito comunista italiano, invitava, da uomo del Sud (Amendola era nato a Napoli) a guardare con attenzione alle proteste popolari del Mezzogiorno d’Italia.

Chi sono, invece, i Forconi? Il Movimento nasce in Sicilia negli ultimi mesi del 2011. Sono quasi tutti piccoli agricoltori, artigiani e autotrasportatori. E piccoli commercianti. Legati, come ora cercheremo di illustrare, da interessi comuni.
In Sicilia, in agricoltura, prevale la piccola proprietà contadina. Nella parte orientale dell’Isola – economicamente più vivace della parte occidentale – operano centinaia di migliaia di piccoli agricoltori, tra frutta, ortaggi di pieno campo e serre.
Da alcuni anni questi agricoltori versano in una grande crisi. Questo perché l’Unione europea non controlla, ma anzi facilita, l’arrivo di frutta e ortaggi da mezzo mondo. E poiché in altre parti del mondo il costo del lavoro è più basso, questi prodotti arrivano a prezzi stracciati. Facendo una concorrenza spietata ai produttori siciliani. I quali, oltretutto, sono disorganizzati, non fanno ‘massa critica’ e si fanno scippare i propri prodotti dai grandi commercianti per pochi spiccioli.
Un esempio su tutti: il pomodorino di Pachino, gloria e vanto delle contrade agricole della provincia di Siracusa: ai produttori viene pagato 20-30-40 centesimi di euro al chilogrammo. Rivenduto nei mercati del Centro Nord Italia a 8 euro al chilogrammo!
Negli ultimi mesi del 2011 la protesta è partita da questi produttori agricoli, che sono centinaia di migliaia. Incazzati neri contro la concorrenza sleale e anche perché i fondi stanziati dall’Unione europea per l’agricoltura siciliana nel 2007 – 2,1 miliardi di euro – a loro non erano mai arrivati (e non gli sono arrivati nemmeno oggi).
Questo perché, in Sicilia, i fondi europei destinati all’agricoltura da un lato surrogano i fondi statali e regionali e, dall’altro, come già detto, non arrivano agli agricoltori. Ma finiscono nelle tasche dei raccomandati della politica, dei mafiosi, dei figli e dei parenti di funzionari e dirigenti dell’amministrazione regionale e di figlie, mogli, mariti e parenti degli stessi politici. Il tutto con la ‘benedizione’ degli uffici dell’Unione europea, che non controllano a chi vanno questi soldi.
La rivolta, nel gennaio del 2011, parte proprio da questi agricoltori – in buona parte della Sicilia orientale – ridotti alla fame. Con il Fisco che cerca di togliergli le case perché, non guadagnando, non riescono a pagare debiti con le banche.
A loro si uniscono gli autotrasportatori che, nel 90 per cento dei casi, trasportano l’ortofrutta siciliana nei mercati del Centro Nord Italia. In pratica, se falliscono gli agricoltori siciliani, falliscono anche loro. Alla protesta si associano anche gli artigiani, che in parte lavorano nell’indotto dell’agricoltura e, in parte, sono in crisi per i fatti propri. E poi i piccoli commercianti.
La rivolta dura nove giorni e poi sfuma. Anche per inesperienza, disorganizzazione e divisioni fomentate dai mafiosi e dai Partiti politici, che in Sicilia non amano le rivolte popolari, soprattutto quelle che non riescono a controllare.
Questo già spiega un elemento essenziale: i Forconi non sono operai, perché in Sicilia ci sono poche industrie. Sono, invece, piccoli imprenditori vessati da una politica siciliana che non li aiuta, da un Fisco rapace e da un’Unione europea che è fallimentare in tutto, dall’euro all’agricoltura.

(se volete continuare a leggere l’articolo andate sul sito:
www.lavocedinewyorkcom)

Redazione

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