Estate dopo estate l’allarme per l’invasione di meduse nel mar Mediterraneo si fa sempre più frequente, con un rischio concreto per la salute degli amanti del mare, oltre che una balneazione davvero poco serena. Sfatiamo subito un mito: non è vero che se a mare troviamo le meduse vuol dire necessariamente che l’acqua sia pulita. L’abbondante proliferazione di diverse specie di meduse nei nostri mari, infatti, è esclusivamente dovuto al progressivo aumento di temperatura dell’acqua causato dai cambiamenti climatici. Accade, cioè, che specie abituate a vivere a latitudini tropicali, dove la temperatura media del mare è più alta, trovino il loro habitat ideale anche in mari più lontani dai tropici che però, proprio a causa del riscaldamento globale, si stanno a poco a poco tropicalizzando.
La loro permanenza è inoltre incoraggiata dal numero insufficiente di predatori naturali e dal fatto che, a causa della pesca intensiva, il mare è sempre più povero di grossi pesci che rappresentano competitori alimentari delle meduse. Accade invece che, avendo a disposizione molto cibo, questi ospiti indesiderati si diffondano in maniera incontrollata diventando una presenza talvolta infestante in alcune zone poco interessate dalle correnti. Per quanto possano essere colorati, affascinanti e molto belli da fotografare, questi indesiderati organismi gelatinosi sono un vero e proprio incubo per i bagnanti e non c’è di che stupirsi dal momento che gli effetti di alcune specie di medusa possono addirittura essere letali per l’uomo, come ad esempio la velenosissima Physalia physalis, conosciuta come Caravella portoghese, oppure la Rhopilema nomadica, meglio nota come Medusa nomade, avvistate entrambe nel canale di Sicilia e nello stretto di Messina.
Potrebbe rappresentare una svolta per le acque dei nostri mari e per la felicità dei bagnanti uno studio appena pubblicato sulla rivista Ecology in cui si individua una caratteristica molto particolare di alcuni tipi di coralli: gli Astroides calycularis, specie endemica del mar Mediterraneo, sono in grado di uccidere le meduse. A scoprirlo un gruppo di biologi marini della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e delle università di Bologna e Edimburgo che hanno effettuato i loro studi a Pantelleria, splendida isola di origine vulcanica a sud della Sicilia, osservando per la prima volta alcune colonie di Madrepora arancione nutrirsi di meduse e cooperare al fine di catturarle.
Oltre, infatti, a essere particolarmente ghiotti di meduse, questi coralli pare che lavorino in team, proprio come una squadra: una volta che la medusa si avvicina alla parete di coralli, spinta dalle correnti, il primo polipo (così è chiamato ciascuno degli individui che forma le ramificazioni di corallo) attacca la preda, iniettando un veleno e gli altri arrivano in aiuto bloccandola. Una caccia molto veloce in cui i polipi interagiscono tra loro come se fossero in grado di comunicare e che può arrivare a uccidere la medusa in circa cinque minuti. Lo studio documenta, quindi, il primo caso di cooperazione nella caccia mai scoperto prima tra i coralli e per questa loro caratteristica le colonie sono state ribattezzate dagli studiosi muri della morte.
Il comportamento predatorio di questi coralli è stato scoperto quasi per caso: i ricercatori della Stazione zoologica e del Cnr, Luigi Musco e Tomas Vega Fernandez, si erano immersi a Pantelleria per studiare le Madrepore che, al pari di tutte le barriere coralline di ogni parte del mondo, sono minacciate dai cambiamenti climatici e rischiano l’estinzione. «Una volta immersi ci siamo resi conto di essere circondati da decine di meduse e abbiamo notato alcuni esemplari di Astroides intenti a ingoiare qualcosa di piuttosto grosso rispetto alle loro dimensioni», racconta Musco. In situazioni ottimali (buone condizioni di luce e di ossigenazione dell’acqua e in presenza di cibo) le colonie di Madrepora arancione possono arrivare a coprire fino al 90 per cento del substrato roccioso fino a una profondità di circa 15 metri, creando delle fitte foreste.
Si può ben dire che la loro forza sta nel numero: ciascun polipo, infatti, ha dimensioni medie di circa 4-5 millimetri ma essi sono connessi tutti l’uno con l’altro come un unico grande organismo con tante bocche, il ché rende più facile la caccia al corallo, organismo bentonico, ossia che vive ancorato al substrato ed è quindi impossibilitato a muoversi. Ciò che si conosceva prima riguardo l’alimentazione di questi piccoli coralli era che si nutrissero preferenzialmente di zooplancton (piccoli organismi viventi trasportati dalle correnti). Di certo, però, non si poteva immaginare che un corallo dalle dimensioni millimetriche potesse ambire a una preda dalle dimensioni così grosse come la Pelagia noctiluca, una medusa particolarmente urticante con un cappello fosforescente che può arrivare fino ai 12 centimetri di diametro. Questa medusa, tipica delle acque calde dei tropici, si è diffusa ormai fino alle latitudini del Mediterraneo dove forma delle popolazioni numerose che possono essere un rischio, oltre che un semplice fastidio, per i bagnanti.
Questo particolare comportamento predatorio da parte dei coralli è stato confermato anche al largo di altre isole siciliane, come Marettimo e Favignana. Di certo i coralli non faranno scomparire le meduse dai nostri mari, ma uno studio più approfondito su questi nuovi predatori può aprire nuovi scenari futuri sulla conoscenza del comportamento sociale di questi particolari e ancora poco conosciuti organismi.
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