I cigni di Catania

Adesso davvero l´aviaria è un incubo, adesso che è arrivata con il cigno. Un cigno accasciato, infatti, un cigno morto, spaventa più di un uomo morto. Gli uomini muoiono, i simboli no. E il cigno è più simbolo che ornitologia, è più bellezza che piume, più musica che zoologia. Intendiamoci, l´aviaria ci spaventa anche quando uccide i polli, o un tacchino, o un´anatra. Ma se colpisce il cigno, l´aviaria ci pare più feroce, più crudele, più ottusa. E´ infatti venuta ad uccidere il bell´anatroccolo, la fragile eleganza del balletto, la poesia di Baudelaire, la musica belliniana di casta diva, la Norma. L´influenza, che di solito lascia anonime le sue vittime, e che non suscita compassione ma solo paura, questa volta ha trasfigurato la bellezza in un malefico untore.

E lo hanno subito capito i bambini catanesi che, in processione, nel porticciolo di Ognina sono andati a solidarizzare con il cigno malato, a soccorrerlo rischiando il contagio. Erano lì attirati dalla caduta del simbolo e non dalla morte di una creatura. Mai sarebbero andati per un pollo. E sicuramente non sono mai accorsi ad assistere i barboni, i clochard, i tanti naufraghi della modernità che anche a Catania, persino nella calda Catania, qualche volta muoiono di freddo, come è capitato a un povero polacco qualche giorno fa. In Sicilia poi il cigno è ancora più simbolo che altrove. Per un catanese, soprattutto, cigno è sinonimo di Vincenzo Bellini, che era bello dentro, che morì giovane, uno dei tanti siciliani nomadi perché anche napoletano, milanese e parigino, un isolano errante come tutti gli isolani, come tutti gli artisti irrequieti, sempre alla ricerca di una patria più grande, più inclusiva, più generosa, più calda. Il cigno a Catania è la grazia di Bellini più che la malinconia di Ciaikovskij; e il cigno di Catania, che non ha la retorica dei tempi verdiani, forse è meno grande ma sicuramente è più cigno del cigno di Busseto. Dunque un cigno che si fosse ammalato in Emilia, o in Lombardia, o nel Lazio non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo, di questo cigno, di questi cigni imperiali, che dal gelo siberiano sono fuggiti verso i climi caldi, sino al porto di Ognina, che fu approdo di Ulisse, e che è il mare di altri cigni, stanziali, più piccoli, mediterranei, che si dissetano con la sorprendente acqua dolce di un lungo ruscello che scorre da sotto le lave. Quello di Ognina è il solo mare al mondo con pozze d´acqua dolce, il mare dei cigni. E non c´è bambino catanese che non sia rimasto incantato, almeno per una volta, davanti alla vasca dei cigni del Giardino Bellini. Ebbene, una ventina di anni fa, negli anni più feroci della mafia, killer spietati decapitarono proprio quei cigni. E la città provò più orrore per le teste dei cigni che per la testa d´uomo che, qualche tempo prima, era stata lasciata sotto la statua di Garibaldi, a due passi dalla vasca. Insomma, la strage dei cigni ci conferma che la bellezza è la vera antagonista della morte. Perciò solo in apparenza è cieco il killer, e dunque il virus, che colpisce la bellezza e la colpisce in Sicilia, dove la bellezza è assai diffusa ma normalmente insidiata e maltrattata dall´uomo brutto; dove la bellezza raramente trionfa, ma quando capita diventa cigno, a rimprovero dello scempio urbanistico, della devastazione dei paesaggi, delle villette sul cratere, del disprezzo per la storia, dei misfatti della malasanità che sono luoghi di incubazione di tutte le patologie, di tutti i virus. La morte della bellezza è morte due volte. Dunque ci inquieta più della morte, perché somma alla naturale e ovvia paura dell´aviaria il collasso dell´eleganza e del candore, la melodia di un canto “il canto del cigno” che si innalza solo un attimo prima della morte e contro la morte. Alla fine, è come se il killer dell´aviaria fosse diventato lucido, come se avesse subito la più infernale delle mutazioni.

Francesco Merlo

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