«Dobbiamo lavorare più coesi, consapevoli che saremo minoranza dopo anni di propaganda anti migranti. Guardando il contratto di governo tra Lega e 5stelle c’è il rischio che gli hotspot diventino centri di espulsione. Sono stati i respingimenti in mare a far diminuire il numero dei migranti in arrivo in Italia, non certo gli hotspot. Temo che di questi argomenti dovremo occuparcene ancora a lungo». La constatazione del docente di Diritto di asilo Fulvio Vassallo Paleologo è in sostanza il ragionamento che permane da tempo a Palermo. Ed è proprio nella capitale dell’accoglienza che il governo Gentiloni, con ministro degli Interni Marco Minniti, ha deciso da tempo di installare un hotspot – il centro di smistamento e di identificazione dei migranti, tramite il rilevamento delle impronti digitali, che spesso diventano de facto centri di detenzioni – allo Zen, all’interno del fondo san Gabriele.
A partire dalle ore 11 di oggi il consiglio comunale, alla presenza del sindaco Orlando, dovrebbe dare parere negativo, all’unanimità, rispetto all’installazione della struttura dal costo di sette milioni e duecentomila euro e che dovrebbe costruirsi nei pressi del velodromo Borsellino. Un’area in cui già nei giorni scorsi sono arrivate le critiche della commissione urbanistica, che ha chiesto agli uffici comunali competenti la bocciatura per «incompatibilità territoriale». In questi giorni il consiglio comunale è sembrato compatto nel ribadire la propria contrarietà, pur con differenti motivazioni.
Il gruppo politico che più di ogni altro continua a battersi contro l’hotspot a Palermo è Sinistra Comune, che il 22 maggio ha convocato un incontro pubblico per ribadire le proprie ragioni. «Noi siamo sempre e in ogni luogo a favore dell’accoglienza – ribadisce Giusto Catania – e contrari all’hotspot, che non è luogo di accoglienza ma di reclusione e di limitazione dei diritti umani. Noi, a differenza di altri, siamo contrari all’hotspot a Palermo e in ogni luogo. Qualcuno, nel motivare il proprio diniego alla struttura, ha detto “prima i palermitani”. Non è questo il tema. Noi diciamo “prima le persone”». Le dichiarazioni di voto, dal Pd al Movimento 5 Stelle al gruppo de I Coraggiosi, danno in questo senso un forte margine di sicurezza. Tutti, dunque, sono contrari all’hotspot.
Ma il modo in cui lo si è fa tutta la differenza del mondo. E, come nel caso del gruppo consiliare pentastellato, crea malumori e dissidi all’interno. Nei giorni scorsi Igor Gelarda, sempre più isolato a Palermo nonostante porti avanti sul tema dell’immigrazione le posizioni diffuse a livello nazionale, ha infatti affermato di essersi «limitato a riprendere il nuovo contratto di governo tra la Lega ed il Movimento 5 Stelle» nel ribadire che, comunque, «il problema dei flussi migratori deve essere limitato fortemente». E di aver ricevuto, a suo dire, un inspiegabile ostracismo da parte di Ugo Forello e degli altri quattro consiglieri che invece continuano a sostenere la necessità di una linea più accogliente. «Informerò anche il nazionale di quanto avvenuto e sono certo che qualcosa si muoverà» ha concluso sibillino Gelarda. Mentre restano le incertezze sulla posizione del primo cittadino che, da una parte, usa da tempo parole molto nette per condannare lo strisciante razzismo istituzionale. Ma dall’altra ha più volte affermato che quello in costruzione allo Zen non sarebbe un centro di reclusione ma solo di prima e rapida identificazione dei migranti.
L’hotspot, insomma, apre diverse partite politiche. Data per certa la contrarietà della città di Palermo (Comune, consiglio comunale e fronte antirazzista sempre più ampio), dopo il voto di oggi la palla passa alla Regione. Ne è consapevole l’ex assessore alla Mobilità. «Abbiamo già la disponibilità di tutti i capigruppo – afferma – a chiedere un incontro all’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro. Speriamo che anche la Regione sia dalla nostra parte, siamo comunque pronti a una grande mobilitazione». Alessandra Sciurba, della Clinica Legale per i Diritti Umani, ripercorre l’origine delle scelte che hanno portato alla possibile realizzazione di un hotspot a Palermo. «Sono strutture imposte dall’Agenda Europea del 2015 – ricorda – che è carta straccia, perché è una mera comunicazione e non ha parere vincolante. L’hotspot consente un accesso discriminatorio a quello che è un diritto universale, vale a dire la richiesta di asilo e di protezione internazionale. Le migrazioni sono diventate armi di distrazioni di massa, falsi obiettivi dei conflitti sociali. Torniamo a parlare di lavoro, di pensioni, di disuguaglianze sociali, e diciamo no a baraccopoli che vogliono recludere 400 persone».
Molte anche le critiche sulla scelta del posto. Allo Zen, infatti, un hotspot rischia di acuire la tensione sociale. Mentre Vito Lo Monaco, presidente del centro studi Pio La Torre, individua altre possibili proprietà sul fondo san Gabriele. «La nostra esperienza ci fa dire che questi centri diventano luoghi di attrazione della criminalità organizzata – fa notare -. Il terreno scelto è grande 47 ettari, si tratta di un buon terreno agricolo che ha alcuni capannoni e un pozzo. Con poche centinaia di migliaia di euro potrebbe trasformarsi in una serie di orti urbani, fino a 470 lotti». Da parte propria Mariangela Di Gangi, dell’associazione Laboratorio Zen Insieme, fa notare come l’interazione tra migranti e residenti potrebbe non per forza essere problematica, e che la questione sostanziale rimane la contrarietà all’hotspot in sé. «L’anno scorso – ricorda – sono arrivati nel quartiere 80 minori stranieri non accompagnati, che sono stati portati in un centro straordinario di accoglienza (cas), e non è successo nulla. Segno che lo Zen è molto più accogliente di quel che si crede».
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