«Hanno ammazzato cummari Turidda»

Berlusconi e il suo scudiero Micciché hanno ammazzato “cummari Turidda”. E non è la Cavalleria rusticana. In nome della solita politica sicialiana dei cannoli il cavaliere Berlsuconi, sorretto alla staffa da Miciché, ha infatti fatto fuori Stefania Prestigiacomo, la bella Turidda malandrina di Forza Italia. Al suo posto, come avevamo amaramente e facilmente previsto, il candidato del centrodestra al governo della Sicilia è Raffaele Lombardo.

Mummia replicante di Totò Cuffaro che, dato per spacciato per motivi giudiziari, fu proditoriamente insolentito dalle furbizie dei suoi ex amici Micciché e Dell’Utri alla ricerca truffaldina di un’immagine antimafia, di una faccia pulita, di un progetto rigeneratore con cui catturare la buonafede degli allocchi, dei siciliani presunti allocchi.

Senza alcuna ironia, Micciché aveva chiamato la morte apparente di Cuffaro “rivoluzione siciliana”, ma era solo l’accanimento della iena sul cadavere dell’amico. Perché una cosa deve essere chiara: umanamente Cuffaro vale molto più del suo interessato denigratore che ha sempre e solo lucrato. Prima, sulla fortuna elettorale di Cuffaro e, dopo, sulla sua sfortuna giudiziaria. Il bottino della transazione fintamente anticuffariana è la promessa che ieri gli ha fatto Berlusconi di una poltrona ministeriale. Già sprofondato nel suo feuteuil, ieri il pugnace Micciché ha detto: “Una volta al governo, difenderò la Sicilia e sarò il garante del rinnovamento”.

Una comica siciliana così prevedibile e banale non avrebbe meritato alcuna considerazione se non ci fosse stata di mezzo l’idea della doppia candidatura pulitamente femminile a sinistra come a destra, Finocchiaro-Prestigiacomo, due donne come risorsa di semplice genialità: antimafia e antiretorica, antivischiosità e antivittimismo, anticlientele e antipolitichese, anticannoli e anti vasa-vasa. E ancora: contro l’onnipotenza impunita della burocrazia regionale, contro i nani e contro i padrini…

La bellezza antimafia era una bella invenzione che circolava in Sicilia da un po’ di tempo e che tutte le persone per bene, di destra e di sinistra, corrette e scorrette politicamente, si erano augurate che si avverasse: sui giornali regionali, nei convegni universitari, nei salotti, nei club, nella Sicindustria, nei sindacati… Ebbene, il furbo Micciché ha capito che la trovata poteva tornargli utile e, nel giorno della famosa condanna festeggiata a cannoli, l’ha subito usata contro Cuffaro.

Finché ieri, ottenuta come ricompensa la promessa del ministero, Micciché si è rassegnato a fare a meno della Prestigiacomo, si è rialleato con Cuffaro e ha benedetto Lombardo, pur lamentando con i cronisti la pressione “esercitata sul povero Berlusconi” da parte della “solita Sicilia pirandelliana” che, per la verità, non esiste se non come alibi del malaffare e come trastullo dei letterati impotenti. Dunque ieri Micciché citava e ricitava Pirandello. Ma sentite come ha spiegato il paradosso del partito di Casini-Cuffaro, l’Udc, che a Roma è contro Berlusconi ma in Sicilia è il suo alleato più prezioso. Gli ha chiesto il cronista dell’Ansa: “Nessun imbarazzo a livello nazionale?”. Risposta di Micciché: “Evidentemente c’è un motivo per cui Kafka è nato a Vienna e Pirandello è nato in Sicilia”. A questo punto il cronista dell’Ansa si è voltato verso un collega e gli ha domandato: “Ma Kafka non nacque a Praga?”.

Per la verità Micciché, professore immaginario che nel suo sito si spacciò per docente “nel Dottorato di ricerca in Trasporti”, era stato già animatore di altri dibattiti culturali e meriterebbe, solo per questo, un ministero in “Male figure e strafalcioni”. Fu per esempio coprotagonista di un duetto con il regista Luca Ronconi, al quale ingiunse di eliminare dalla messinscena siracusana delle Rane di Aristofane le caricature di Berlusconi, Bossi e Fini. “Ma questo chi è?” chiedeva Ronconi. “E’ Micciché” gli rispondevano. E Ronconi: “Micci-chi?”.

Al di là degli infortuni culturali del suo staffiere siciliano (ne lasciamo l’elenco completo ai cabarettisti), ieri Silvio Berlusconi ha definitivamente consegnato la candidatura di governatore della Sicilia a Raffaele Lombardo, il più spregiudicato, il più potente ma anche il più banale dei politici della Trinacria (“trinacriuti”), l’uomo che ha scoperto il leghismo siciliano dopo le mirabolanti stupidate di Bossi e dopo l’indecorosa sepoltura dei sicilianismi d’antan di vacua presunzione, dai Vespri siciliani a Tasca Bordonaro a Canepa e, scadendo via via nel ridicolo, da chi voleva la Sicilia annessa agli Stati Uniti a chi la voleva (s)connessa alla Libia. Sino appunto agli attuali mostri dello Mpa (Movimento per l’autonomia) che coniugano il papismo borbonico con il vittimismo antieuropeista, la voracità dell’euro-accattonaggio con il ricatto ministeriale. E dunque: voli gratis per i siciliani, benzina a metà prezzo, “quote” siciliane ovunque si possa “bagnare il becco”: in siciliano “bagnarisi ‘u pizzu”. Insomma Lombardo piazza un proprio uomo ubiquitariamente, purché ci sia lucro: dalle politiche agricole a quelle dei trasporti, dalla sanità all’istruzione, Lombardo gestisce una caccia al tesoro delle finanze derivate che mai nessun altro notabile meridionale aveva mappato con altrettanta, meticolosa, puntuale accuratezza “geocratica”. Ecco: Lombardo ha elevato all’ennesima potenza il leghismo del mendicante.

Da un punto di vista elettorale, Lombardo ha perfezionato il modello ruspante del suo profeta Cuffaro e oggi controlla il territorio proprio come i barboni presidiano gli ingressi delle chiese, le stazioni della metropolitana e le entrate dei supermercati. E sono entrambi medici, Lombardo e Cuffaro, come vuole il nuovo potere politico nel Meridione. Signori delle corsie, i medici al Sud sono spesso i nuovi ricattatori della salute – “o il voto o la vita” – , e gli ospedali sono le scuole di fedeltà, i luoghi dove si coltiva il consenso: hanno preso il posto delle sezioni di partito. Ebbene, in questa nuova politica del territorio, Lombardo sta a Cuffaro come Marx stava a Saint-Simon: il lombardismo è il cuffarismo scientifico.
E infatti esteticamente la differenza è riassumibile nei baci che Lombardo non dà e nei baffi che Cuffaro non ha.

Baci, baffi e cannoli: non dico che la Sicilia deve a Berlusconi tutto il corredo iconografico dell’antropologia del suo potere più sguaiato. Ma certamente Berlusconi ha perduto anche questa occasione storica: liberare la Sicilia dai baffi mongoli di Lombardo, dai baci levantini di Cuffaro, dai cannoli mafiosi, dai Kafka viennesi di Micciché e forse, finalmente, anche dall’abuso di Pirandello…: il prossimo che lo cita lo mandiamo all’ergastolo – 141 bis – e buttiamo la chiave a Praga. Tanto, loro la cercheranno a Vienna.

Repubblica.it

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