‘Hai già votato?’: caccia all’elettore (o la pantomima degli avvoltoi)

Tra studenti universitari, ci si aspetterebbero spiragli di buon senso. Quantomeno sufficienti a tenere accesa la speranza che, in un futuro indefinito, le operazioni di voto possano riacquistare una qualche dignità.

L’elezione dei nostri rappresentanti, probabilmente, è l’unico, tangibile diritto d’opinione che ci è rimasto. Mettiamoci pure il plebiscito di sfiducia che aleggia tra i cromosomi degli studenti. Il cocktail è quasi pronto: manca semplicemente il colpo di grazia.

Fate conto di esservi svegliati alle 7, magari perché dovete consegnare l’iscrizione in segreteria e non avete intenzione di fare la muffa davanti a un tabellone elettronico. Nel frattempo, trovate pure la voglia di superare le tante contraddizioni di queste elezioni, e decidete di andare a votare.

 

Bene. Ingresso della facoltà. Cominciano le parole chiave. «Sei di lettere?» «Sei di lingue?» «Hai votato?». Precedute, per le donne, da generosi apprezzamenti come «Sei carina» o «Bellezza». Passo successivo: il santino. E’ proprio volantinaggio puro, selvaggio e incondizionato. A seggi aperti. Con la pretesa di poter convincere uno studente a preferire un candidato semplicemente, che so, perché ha un cognome orecchiabile o un volantino “spacchioso”. Voti che camminano, questo siamo? Questo diventiamo?

Sono dovunque, gli avvoltoi dell’ultim’ora: all’ingresso della facoltà, del bar, sparsi per il cortile. Addirittura davanti ai seggi. Prima di raggiungere il proprio, uno studente si vede assaltato da almeno 6-7 elementi del genere. E già la voglia di andare a votare era poca prima ancora di arrivare. Poi vede la fila chilometrica in stile Poste italiane, poi pensa di nuovo alla segreteria, poi pensa. Poi non pensa più. E – è successo – se ne torna a casa senza votare, ancora più indignato.

Sono stato – dovevo esserlo, volevo esserlo – categorico, nel mio piccolo: nei pressi del bar, ho individuato, nelle prime ore di mercoledì, una coppia di ragazze fornite di un malloppo di almeno 300 volantini. Li dividevano con un sorriso smagliante sulle labbra, la prima da un lato della porta, la seconda dall’altro; una badava alla gente che entrava, una a quella che usciva. Scientifiche. Grottesco. Mi avvicino.

 

«Ciao, ragazze». Ascolto. Voglio vedere cos’hanno da dirmi. «Oggi si vota», bla bla bla, solita pappardella e consegna del volantino seguita da ordini elettorali. Le lascio finire, quindi: «Lo sapete che non si può fare, vero?». «Ma noi non stiamo facendo niente». Una delle due accenna ad allontanarsi. L’altra quasi si sente offesa: «Senti, che vuoi?». «Voglio che la smettiate. E’ illegale, oltre che poco dignitoso». Parto pure io con la pappardella. Risposta: «Ma io non c’entro con le elezioni, sto facendo un favore a mia cugina! Il suo fidanzato è candidato, capito?». E continua candidamente a fare il suo “lavoro”. L’invito non ha funzionato. Benissimo. «Chiamo i carabinieri?». Questo invece, chissà perché, funziona sempre.

 

E via dicendo, mandrie di imperterriti bracconieri a tutte le ore e di tutte le specie. Sono addestrati, alcuni. Una ragazza, davanti ai seggi di Lingue, ha avuto il coraggio di dirmi – dopo essersi fatta incastrare – «Ma perché, io non posso essere curiosa di sapere se le persone sono di Lingue per chiedere delle informazioni?» e, dulcis in fundo, la chicca: «Sono di Step1 e sto facendo un sondaggio». Ovviamente, quando le ho chiesto di fare un salto una porta più in là, per salutare i suoi colleghi di redazione, è sparita. Addirittura alle 18.45 di giovedì, un quarto d’ora prima della chiusura definitiva, vengo agganciato da un duo con il classico «Avete votato?». Rispondo: «Ragazzi, non si può fare!», col sorriso sulle labbra. «Ah, sei un candidato?». «Già». «E lei è pure candidata?», indicando una ragazza accanto a me. «No. Basta, adesso. Le elezioni dovrebbero essere una cosa seria…». «Ah, fai il moralista! Sei di sinistra, vero? Comunque casomai che fai, chiami la Digos?». «Eh, per esempio». «Ma io non ho nulla in mano, non ti ho dato niente, non mi puoi denunciare», sfoggiando un ghigno soddisfatto (e un taschino della camicia con effetto sigarette, visibilmente imbottito di volantini). Ditemi voi cosa si merita questa gente. Di certo, non un posto al Consiglio di Facoltà.

 

Mi domando, a giochi fatti, se non sia necessario un generale esame di coscienza e una categorica e sostanziosa presa di posizione. Tra studenti, in primis. La prossima volta, se vogliamo ricostruirla, questa dignità esaurita, armiamoci di risolutezza. E cacciamo i cacciatori.

Roberto Pirruccio

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