Guarneri, l’orgoglio del teatro di tradizione «L’aria di sicilianità gradita in continente»

«Enrico Guarneri jè nu cabarettista, còmicu e atturi talianu, notu spurattuttu ntâ Sicilia grazie a lu prugramma televisivu Insieme». Cercando online, del creatore del personaggio di Litterio Scalisi si trova solo una striminzita biografia nella Wikipedia in siciliano. «Non ho nessun rapporto con Internet, non me ne curo e non ne sento la mancanza – spiega l’attore – ma se mi considerano un simbolo del teatro dialettale, mi considerano uno della grande tradizione siciliana, che pesa una tonnellata nella storia del teatro, quanto quello di Napoli e Venezia», afferma Guarneri. Tornato da una settimana in Sicilia, dopo la rappresentazione dell’Aria del continente di Nino Martoglio al teatro Sala Umberto di Roma, a cui è seguita, giovedì 8, una tappa a Canicattì.

«E’ stata una messa in scena trionfale, è andata benissimo», afferma l’attore riferendosi all’esperienza romana. «Abbiamo portato una ventata di Sicilia e il successo deriva dalla grande autoironia: ci siamo presi in giro noi stessi, con quell’aria di sicilianità che è molto gradita in continente», racconta con orgoglio Guarneri. Che non si adagia sui risultati: il prossimo fine settimana sarà al teatro Pirandello di Agrigento, questa volta con Mastro Don Gesualdo. Regia del catanese Guglielmo Ferro, figlio di Turi, «l’ultimo ad interpretare, a mia memoria, l’opera di Martoglio fuori dalla Sicilia, almeno 25 anni fa».

Guarneri è a oggi l’unico teatrante etneo a portare con successo in giro per l’Italia le opere del grande teatro siciliano del ‘900. Un punto che, secondo l’attore, merita più di una riflessione. «Fare teatro in Sicilia è molto più difficile che farlo fuori. E spesso non è sempre il meglio della Sicilia che va fuori. E viceversa», afferma Guarneri. Per lui l’isola è un luogo «in cui ancora il teatro è fortemente radicato, tanto che quando vengono le compagnie do cuntinente che ricevono applausi a Bergamo a Brescia con commedie ironiche e grottesche, qua la gente ci ietta manu. Li vuole aggredire, non li capiscono. Chi vogliono fare ridere?», scherza Guarneri. Per il quale l’uso della lingua siciliana, il «cosiddetto dialetto», è un importante punto di orgoglio. «Pirandello iniziò a scrivere teatro in siciliano: la Birritta che ciancianeddi fu costretto a tradurla e lo stesso è accaduto per Liolà e tante altre. Io recito in siciliano, una lingua che ha meritato il premio Nobel. Di chi stamu parrannu? Si dovrebbero vergognare quelli che insistono con le commediuole tradotte in italiano, con lo humor inglese che poco ci appartiene e non ci fa ridere».

Errori che, per Guarneri, dipendono principalmente da tra tre fattori. Il primo e più importante: «La gavetta, che manca totalmente», spiega. «Un attore, prima dei 40 anni, è una sorta di laboratorio, deve capirsi, studiare e studiarsi. E lavorare, lavorare e ancora lavorare. Oggi un ragazzo di 23 anni che esce dall’accademia si sente un attore formato. Quando invece sta partendo, da zero: un attore giovane è una muddica. Che se ha talento diventerà una bella pagnotta dorata». Il secondo è la crisi, generale, dei teatri pubblici, come lo Stabile di Catania. «Sono tutti i teatri pubblici in Italia ad avere crisi. Forse a causa di troppe produzioni, stanno soffrendo più degli altri. La situazione – continua l’attore – è un po’ difficile da dirsi, ci vogliono gli interpreti giusti, l’alchimia, la magia. Il giusto, dicevano i latini, sta in mezzo. Significa riuscire a fare il teatro equilibrato, che non sia marchiato di una sola etichetta». Rappresentazioni insomma che soddisfino la sala e «non gli addetti ai lavori o il ministero». «Il teatro – chiarisce Guarneri – non si fa per altri se non per il pubblico, dove c’è l’intellettuale ma anche l’operaio. Bisogna fare il teatro della tradizione che merita più di altri, fare le grandi trasposizioni teatrali e dare spazio alle novità».

Il teatro, infine, «non deve servire come tribuna elettorale. Lo spettacolo è altra cosa, il messaggio, se c’è, lo devo mandare all’interno dello spettacolo. Se decido di mettere in scena la vita di Brancati, ad esempio, non posso limitarmi a passare informazioni. Bisogna che lo faccia un uomo di spettacolo, un regista, che lo imbastisce: come un vestito, che prima di essere cucito si inciuma. Tutte cose – conclude Guarneri – che sembrano molto ovvie e scontate, ma nella pratica non è così. Non si può altrimenti spiegare come a volte a uno spettacolo la gente voglia morire. E, addormentandosi in sala, sogni di trovarsi fuori, a camminare per tornare a casa».

Leandro Perrotta

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