Gruppo Riela, a settembre i licenziamenti I dipendenti: «Si aspetta solo un miracolo»

I recenti arresti e le indagini giudiziarie hanno dimostrato che Filippo Riela controllava le aziende che lo Stato gli ha confiscato per mafia nel 1999 – il Gruppo Riela – direttamente dalla sua cella di carcere, dov’è rinchiuso con l’accusa di omicidio. Lo faceva tramite dei prestanome e un consorzio creato ad hoc, diventato negli anni il maggiore creditore dell’azienda di trasporti di Belpasso e la prima causa della sua messa in liquidazione, come indicato più volte dai dipendenti. A nulla però servono questi risvolti giudiziari per i 12 lavoratori dell’azienda e della sua officina che ieri hanno saputo, durante l’ultima riunione sulla vicenda all’ufficio provinciale del lavoro di Catania, che per loro dal primo di settembre arriveranno le lettere di licenziamento.

«Ormai non ci resta che aspettare il miracolo», dice Mario Di Marco, direttore tecnico dell’azienda. La voce è bassa e dal suo tono si comprende tutta la sua stanchezza e la poca speranza che ormai nutre sulla sopravvivenza dell’attività.

Quella che era una delle aziende più floride della Sicilia ormai sembra essere destinata alla chiusura. «A parte alcuni casi, sempre possibili, di mala gestio – spiegano dall’Agenzia dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, ente a cui è affidata la gestione delle società confiscate – la verità è che quasi sempre le aziende sequestrate solo apparentemente sono sane dal punto di vista economico, nel senso che stanno sul mercato con profitti anche elevati perché operano violando sistematicamente le norme sulla concorrenza, quelle sulla tutela dei lavoratori e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, utilizzando sistemi di corruttela – continuano i referenti – Tutti questi vantaggi, definiti propri dell’impresa mafiosa, evidentemente cessano al momento del reinserimento dell’azienda confiscata nel circuito della legalità. E la ricostruzione storica delle vicende del Gruppo Riela sta a dimostrare la veridicità di quanto detto». Eppure le recenti vicende giudiziarie provano che nella gestione della Riela qualcosa è andato storto, tanto che gli inquirenti hanno accertato la responsabilità di alcuni amministratori giudiziari.

«È chiaro che è un problema di natura politica. Sarà semplicemente la politica a decidere le nostre sorti», dichiara Di Marco. Lui e i suoi colleghi sono ormai sconfortati. Hanno provato in tanti modi a non far spegnere i motori dei loro camion. Con assemblee, proposte e appelli diretti ad amministratori ed istituzioni. Ci avevano sperato, invano, quando qualche mese fa era arrivata la proposta di una commessa di quattro milioni di euro. «Nell’offerta era prevista una trattativa economica, ma nessuno ha voluto approfondire», dice Di Marco. L’Agenzia, interpellata in merito, invece obietta che si trattava in realtà di «una richiesta avanzata da una società avente sede a San Giuseppe Vesuviano, aggiudicataria da parte di aziende sanitarie siciliane di forniture di prodotti per incontinenti, di ottenere l’assegnazione gratuita di una delle ditte in confisca». Una richiesta non accoglibile perché la normativa vigente in materia di destinazione di beni confiscati non contempla l’ipotesi della cessione gratuita di un’azienda, e poi perché avrebbe comportato «una violazione del principio di libera concorrenza».

Un principio, quello della concorrenza, che dall’Agenzia forniscono anche come ragione dell’impossibilità di conferire tout-court ad aziende in confisca commesse da parte di amministrazioni statali, come invece avevano suggerito i dipendenti Riela. «Occorre ricordare – spiegano – che queste ultime sono comunque vincolate al rispetto, tra gli altri, del principio di economicità e nella scelta dei contraenti devono seguire procedure che garantiscono la libera concorrenza e la trasparenza». Non importa quindi che l’azienda confiscata sia in effetti dello stesso Stato.

Su una cosa, i rappresentanti dell’Agenzia e Di Marco sono d’accordo: «Quando un’azienda confiscata è costretta a chiudere è sempre un fallimento per lo Stato», affermano. Dall’Agenzia, però, fanno sapere che stanno «tentando di intervenire, anche a livello normativo, per risolvere le criticità riscontrate nella concreta gestione dell’azienda quali ad esempio la revoca dei fidi bancari, l’azzeramento delle commesse da parte dei fornitori, la gestione conservativa posta in essere durante la fase del sequestro». Ma per il direttore tecnico in attesa della lettera di licenziamento sono solo parole.

Agata Pasqualino

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