«Un esempio di architettura tardo-barocca catanese, firmato dall’architetto Stefano Ittar. Per capirci, l’uomo che nel Settecento disegnò la facciata della Collegiata o la chiesa del monastero di san Placido». La chiesa di san Martino dei Bianchi, in via Vittorio Emanuele, è un edificio totalmente vincolato. Sul suo prospetto frontale, riprogettato nel 1774 dopo il terremoto del 1693, qualche giorno fa è stata messa una grondaia di rame, che dal tetto arriva a terra, passando accanto alle finestre. Un intervento – «in una zona ad alta densità turistica e al limite tra due aree tutelate dall’Unesco, piazza Duomo e via Crociferi», spiega il tecnico archeologo Iorga Prato – che ha fatto storcere il naso a molti. E soprattutto alla soprintendenza ai Beni culturali di Catania. «Si tratta di un intervento non autorizzato – dice la soprintendente Fulvia Caffo – Probabilmente fatto d’urgenza da chi gestisce la chiesa. Ma sicuramente quel tubo deve essere rimosso al più presto».
L’edificio sacro è gestito dall’ordine dei Cavalieri bianchi di Seborga. Un’associazione laica che ha, tra i suoi scopi sociali, quello di «onorare, sostenere e diffondere la devozione, la carità, la solidarietà». È da loro che prende il nome la chiesa, a cui venne data in gestione fin da subito. «È ovviamente una struttura che fa parte della storia della città – sostiene Prato – L’architettura è splendidamente riconoscibile per via di quell’andamento curvilineo che era un po’ la firma degli architetti che qui hanno lavorato. È il tratto distintivo della chiesa dell’Immacolata ai Minoritelli o della chiesa della Purità». E a proposito dei Minoritelli e della Purità, il tecnico archeologo aggiunge: «Le curve sono orientate verso l’esterno, un modo per rappresentare la femminilità della Madonna a cui erano dedicate». Le curve della chiesa di san Martino, invece, vanno nel verso opposto: «Era importante marcare la differenza, d’altronde era dedicata a un santo maschile. Ricorda molto l’architettura palermitana coeva».
Per quanto poco nota, quindi, la chiesa di san Martino sarebbe «un gioiello dello stile catanese». Tanto per gli esterni, quanto per gli interni, che conservano i ritratti dei priori dell’ordine dei Cavalieri bianchi. «Temo che non sia sempre aperta – continua Iorga Prato – Fino a qualche tempo fa la chiesa poteva essere visitata tutte le domeniche mattina, ma al momento non saprei com’è organizzata la gestione». Quel che è certo, però, è che in questi giorni i turisti che ci passassero davanti vedrebbero una grondaia di rame nuova di zecca sulla pietra che sta là da oltre 300 anni. «Presumo che siano state richieste e date delle autorizzazioni», conclude l’esperto.
A correggere la sua affermazione ci pensa la soprintendente ai Beni culturali Fulvia Caffo. «Come sia andata, francamente, non so dirlo – sostiene – Si tratta di un palazzo vincolato, un’operazione di questo genere non poteva essere fatta senza allertare la soprintendenza. Cosa che, in questo caso, non è stata fatta». Con il risultato che il tubo di scolo è stato installato dove non dovrebbe stare. «Posso pensare che la chiesa abbia gravi problemi di infiltrazioni d’acqua dal soffitto e che quindi, viste le piogge delle scorse settimane, si sia deciso di percorrere provvisoriamente la strada della grondaia esterna – immagina Caffo – Ma sono tutte supposizioni, perché sullo stato dei luoghi non abbiamo notizie. Quel che è certo è che la facciata non può essere considerata una collocazione definitiva. La grondaia ramata va tolta».
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