Qualcuno, una volta, osservò che la distinzione tra viaggiatore e turista fosse alla base della concezione di viaggio, dove il primo è chi riesce, con gran spirito, a farsi assorbire del tutto dal territorio, dagli aliti umorali della gente, dai sapori e dai dubbi di geografie differenti, e laltro, invece, è chi costretto a far foto e comprare cartoline, ovunque, per paura che, la scarsa voglia di attenzione possa dopo qualche tempo, sgranare tutte le immagini ed i ricordi.
Così, pensai ad Hemingway e alle sue raffinate visite eno-gastro-folkloristiche in Spagna e mi venne da ridere per un po perchè, guardando il mio riflesso nel finestrone impolverato dellautobus, vidi un viaggiatore col suo solito, sbiadito turismo ma anche un turista con ambizioni intellettuali da viaggiatore, insomma, uno dei tanti. Ma questo non mi disturbava, per nulla, convinto che il viaggio innanzi tutto fosse quello che immagini, sogni e quello che inventi o, forse, quello che, al contrario, non è vittima di tutti questi dannati roboanti ragionamenti da enciclopedia.
Lautobus ricalcava la Costa Verde, quella che dà i confini sia alle Asturie che alla Cantabria, quì lOceano è ghiacciato ma fermo. Le acque sono come addormentate e la costa maggiormente piana, sempre selvatica ma senza eccessivi squarci e malvagità.
Passammo Avilés, Gijón e con loro la possibilità dintrattenerci nelle vie dei pescatori dove il cielo livido e granuloso si specchia sulla specialità di casa che è la sardina, dalle stesse secche caratteristiche. Ma la terza tappa del viaggio era Santander, era lì che eravamo diretti, anzi no, perchè? Beh non saprei, un po perchè il sole bello suggeriva spiaggia, un po perchè giunti alla sua stazione scendemmo e ci fermammo, tradendo il nostro biglietto che ci destinava al Paìs Vasco.
La città sembrò indaffarata in quel giorno di metà settimana, camminammo per qualche minuto incrociando la Catedral, bianca, spoglia e con due torri parallele, cintrufolammo nei Jardines de Pereda e nelle sue fresche vegetazioni e poi ci dirigemmo verso la suggestiva Península de Magdalena. Unescrescenza verde e profumata della terra, un parco alberato confinato dal mare, un Palacio perlato e folgorato dalla luce ed un piccolo zoo: ecco cosa trovammo tra le coste di questa strana ma affascinnate penisola attaccata tramite un cordone ombelicale alla città, una sorta di passarella privilegiata abbagliata dal sole.
Ma poi, piedi di nuovo aldilà, ci ricordammo di quella voglia di spiaggia. Così i nostri corpi stanchi crollarono nelle sabbie della Primera di Playa del Sardinero, imponente distesa gialla lunga chilometri. Faceva caldo e molto e fu un grande sollievo passare i palmi dei piedi sullarena fina ed umida.
La gente riempiva molti degli spazi con le proprie tovaglie colorate ed il mare era calmo e silenzioso. Carlotta se ne stava pensierosa fissando le piccole onde che stuzzicavano una risacca intorp¡dita dal vento tiepido, si era tirata su i jeans quasi fino al ginocchio e sciolti i capelli. Avrei voluto chiderle cosa le stesse passando per la testa ma capii inmediatamente che era una domanda inutile. Non sinterrompe mai quando sono il vento ed il brusio del mare ad avere la parola. Poi si alzò in piedi e fu lei a rompere il silenzio, “aspettami qui” disse, ed io, sdraiato, che a stento riuscivo a distinguere il suo volto perchè impallato dal sole opaco, risposi con un breve e appisolato cenno del volto.
Santander, Sancti Emeteri per gli antichi (dal martire Emeterio), capitale della Cantabria, mi parve così, introversa ed un po amareggiata, una delle Cuatro villas del mar del regno di Castiglia ma dal cielo grigio e bollente, dove il mare è azzurro opaco e la città fermenta movimento e caos. Ma, si sa, le città, qualsiasi siano, sanno possedere cento, mille volti differenti, un po come le persone e come le stagioni o come il clima atlantico che, con le sue solite intermittenze caratteriali, spinse forte dei nuvoloni gonfi e fece piovere sulla playa lasciando, oltretutto, del caldo umido e perverso.
Carlotta poi ritornò trovandomi sotto ad un portico con gli zaini zuppi di quella pioggia tiepida, portava con se un cono di cartone con dentro degli anelli di calamares e gambas fritti ed anche un sorriso soddisfatto, in più, dalla giacca, tirò fuori un opuscolo del Turismo di Cantabria le cui illustrazioni e parole decise raccontavano delle cave di Altamira, bene dellumanità per lUnesco. Io rimasi perplesso, bagnato di pioggia ed ignorante. Cosa fossero, devo ammetterlo mi era totalmente sconosciuto e così invitai Carlotta a leggermi qualche riga del suo depliant: “Le prime manifestazioni artistiche dell Homo Sapiens risalgono circa a 20.000 anni fa, sono custodite magicamente nelle oltre 90 grotte del luogo”. E così, ci ricamò la guía allinterno buio di queste: “Queste splendide pitture sono tra i migliori esempi dell’arte rupestre preistorica”. La sua voce era altilenante e davvero davvero soporifera, mentre ci mostrava col suo indice lento dipinti di cavalli, cervi e scene di caccia.
Da quando Carlotta mi mostrò lopuscolo in spiaggia non passò molto dalla nostra impetuosa decisione di prendere il primo treno regionale per Santillana de mar e da lì raggiungere Altamira, distante solo 2Km. Il suo entusiasmo riusciva a superare anche la mia pigrizia e quella stanchezza che era psicologica innanzi tutto. Ma ne valse la pena. Quei disegni, così semplici e sfocati dal tempo mi parvero magnifici e, come spesso accade quando di fronte a noi si esibisce la storia coi suoi segni, ci sentimmo affascinati, toccati dentro ma anche un po vuoti, a causa, forse, di quella consapevolezza che alle volte si nasconde, altre ti siede accanto, di essere come uno dei tanti granelli di zucchero sparsi per la tavola.
Ma poi, uscimmo di lì, e ritornammo nel nostro profilo, rientrammo nelle nostre scarpe e ci abituammo alla luce esterna e fu così che ci sentimmo vivi, di nuovo, magari piccoli, ma con lentusiasmo di chi ha dietro le spalle uno zaino ed i soldi per comprare un nuovo biglietto di treno…
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