Goya’s Ghosts: ma Goya…dov’è?!

“L’Ultimo Inquisitore – Goya’s Ghosts” è il titolo dell’ultimo lavoro del regista ceco Milos Forman, il quale ne aveva già concepita la storia  quando era ancora uno studente, dopo aver letto dei racconti proprio riguardo il periodo storico che fa da sfondo al film.

Ci troviamo nella Spagna del 1792, anno in cui il tribunale dell’Inquisizione la fa da padrona. I destini del pittore di corte Francisco Goya e del monaco membro dell’Inquisizione Lorenzo, si incrociano a causa di Ines, musa ispiratrice dell’artista, che viene ingiustamente imprigionata per eresia. Quindici anni dopo, le vite dei tre personaggi torneranno ad intrecciarsi.

In teoria, la trama vorrebbe dar spazio equamente a tutti e tre i personaggi, se non addirittura mettere in maggiore risalto il pittore spagnolo Goya (come dice lo stesso titolo del film); in realtà, proprio l’artista è un personaggio che potremmo definire secondario, la sua storia e la sua presenza è funzionale a quella del monaco Lorenzo e della giovane Ines. Nulla da eccepire all’interpretazione di Stellan Skarsgard (City of Ghosts di Matt Dillon, Passion of Mind di Alain Berliner) nei panni di Goya, che rende perfettamente lo spirito di questo grande artista spagnolo, inizialmente dedito a ritratti di personalità di spicco, poi divenuto primo pittore di corte dei reali di Spagna, per poi finire la sua vita col riportare sulla tela i dettagli vividi e precisi dei disastri e delle atrocità vissuti dalla Spagna all’arrivo di Napoleone nei primi anni dell’800.

Quindi la figura che spicca maggiormente nel film è quella di Lorenzo, personaggio molto ambiguo sin dalle prime scene, che subisce dei cambiamenti così repentini ed esagerati durante il corso del film, tanto da togliere credibilità non solo al personaggio, ma anche al periodo storico narrato da Forman: Lorenzo, monaco membro dell’Inquisizione, fugge dalla Spagna per tornarvi quindici anni dopo nelle vesti del più convinto sostenitore degli ideali della Rivoluzione Francese; quando in seguito verrà ricostituito il tribunale dell’Inquisizione (smembrato durante il governo francese di Giuseppe Bonaparte), gli verrà data la possibilità di epurarsi dagli anni rivoluzionari e di tornare alla vita casta da monaco. Per fortuna, dopo aver temuto da spettatori un ulteriore assurdo “colpo di scena”, Lorenzo rinuncerà a questo perdono. Anche l’interpretazione del neo-divo spagnolo Javier Bardem, già malvivente in “Collateral”di Michael Mann a malato immobilizzato in “Mare Dentro”di Alejandro Amenàbar, non delude lo spettatore al quale presenta un uomo dai mille volti, egoista ed opportunista.

E in ultimo Natalie Portman (Leon di Luc Besson), nel doppio ruolo di Ines, musa ispiratrice di Goya, e di sua figlia Alicia, presenta perfettamente il suo personaggio, che dopo esser stato accusato ingiustamente di eresia, verrà imprigionato nelle carceri dell’Inquisizione, per uscirne quindici anni completamente trasformata e sfigurata sia nel volto che nell’anima.

Se tralasciamo l’interpretazione eccellente degli attori, i costumi che richiamano bene lo stile del tempo, e la prima sequenza del film, così ben strutturata da far pensare ad un seguito altrettanto “fatto bene” come lo poteva definire Truffault, allora ci troviamo di fronte ad un film incoerente, in primis con il titolo, poi con lo squarcio di storia che Forman inserisce nel film, troppo ampio per essere narrato efficacemente e in modo veritiero. Nulla di incredibile e rilevante né nella sceneggiatura né nelle luci, a parte quelle utilizzate per rendere l’oscurità della prigione dell’Inquisizione, riflettendone le crudeltà e le pietose condizioni dei prigionieri, né nelle musiche, anch’esse poco azzeccate.

Allora, lo spettatore che va al cinema a vedere questo film, avendo in mente il pluripremiato “Amadeus” del 1984 dello stesso regista, uscirà dalla sala deluso, convinto che anche per Forman, come per tanti altri registi, è arrivato il momento della fase discendente della sua carriera.

Ambra Campagna

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