«L’eventuale impegno politico di un pm non mi scandalizza ma penso che un’eventuale scelta di questo tipo debba essere fatta in maniera definitiva e irreversibile, ovvero è incompatibile con la pretesa poi di tornare a fare il giudice». Così il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, al convegno M5s sulla Giustizia alla Camera, lascia aperto uno spiraglio a chi da tempo lo corteggia politicamente.
All’inizio del suo intervento Di Matteo ripercorre in breve la propria carriera per poi sottolineare di aver maturato una consapevolezza molto netta: «la questione mafiosa, anche al di fuori delle compagine criminale tradizioni e perfino all’interno delle istituzioni e comunque del potere e la sempre più evidente connessione tra il sistema mafioso e quello corruttivo costituiscono un gravissimo fattore di condizionamento di compromissione della democrazia». Per questo motivo la lotta alla mafia «dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni governo».
Un intervento, il suo, intervallato da numerosi applausi e anche da una standing ovation, e tutto incentrato sulle connessioni tra apparato criminale e sistema legale. Di Matteo condanna soprattutto il «perverso meccanismo per cui la politica candida soggetti già condannati per mafia. A me da cittadino, prima ancora che da magistrato, questo appare veramente paradossale». Invece la priorità sarebbe di «recidere una volta per tutti i rapporti tra mafia e Stato». Il magistrato ricorda poi una confessione di Salvatore Cangemi: «Riina ci diceva sempre che senza il rapporto col potere sempre saremmo stati sempre e solamente una banda di sciacalli».
«Dal ’92 ad oggi la situazione è peggiorata. Proprio nel giorno in cui la Cassazione dava la definitiva conferma della sentenza Dell’Utri, l’allora presidente del Consiglio Renzi discuteva con Berlusconi di come riformare la carta costituzionale». Ecco perché «in questi giorni di ricordo della strage di Capaci abbiamo assistito al tronfio dell’ipocrisia, della sterile retorica, di morti che fingono di ricordare i morti dopo averli mortificati da vivi, di chi comunque vuole riportare solo ad aspetti emozionali e intimistici vicende che hanno avuto e continuano ad avere una importanza ben più ampia nella storia del nostro Paese. Mi sono volutamente astenuto – continua Di Matteo – dal partecipare al coro dei dichiarazioni, dei ricordi, delle passerelle televisive».
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