Gomorra, erede del neorealismo italiano

Non era facile ricavare un film così avvincente da un libro come Gomorra. Saviano nel testo metteva insieme cronaca, materiale giudiziario, frammenti di riflessione, tra sociologia, antropologia e macroeconomia; frullare tutto questo era cinematograficamente impossibile e visivamente inutile. E Garrone ha così selezionato alcune cose, le ha distillate in cinque storie, trascurando molte suggestioni possibili e realizzando una narrazione disincantata e diretta.

Nessun cedimento al “fascino del negativo” che connota alcuni film di argomento mafioso (le accuse rivolte a Scorsese, a Coppola, a De Palma e a tanti altri registi di indulgere a una rappresentazione quanto meno ambigua del male sono frequenti e talvolta anche ben fondate). Garrone è estraneo ad ambiguità di sorta: la maggior parte degli affiliati al sistema, nel film, è manovalanza schiavizzata, altro che antieroi dal destino singolare e irripetibile. Pedine mobili e vulnerabili di un meccanismo che stritola e uccide. Alla base della piramide criminale fiancheggiatori, vedette, pesci piccoli o minuscoli sgomitano per la “settimana”, il fisso che ottengono a rischio della vita. Questo è l’ecosistema delle Vele, i palazzoni di Scampia, regno dei trafficanti di coca: un ecosistema  solido e gerarchizzato, che Garrone drammatizza nel momento della crisi, ovvero della guerra per il potere tra il clan Di Lauro e gli scissionisti (2004-2005).

Sembra un reportage. Dialoghi asfissianti ed efficaci, gergo malavitoso, scorci reali di posti schifosi, bravi attori non professionisti, attori che incarnano mezze tacche del malaffare intenti a “prepararsi” come tronisti o calciatori. Siamo anni luce distanti da “American gangster”, “Scarface”, “C’era una volta in America” e dall’epica della violenza metropolitana. Eppure i protagonisti di molte pellicole – su tutti Tony Montana – rivivono nell’immaginario di vari affiliati o di cani sciolti.
Proprio la storia di due cani sciolti a Casal di Principe è tra le più efficaci e inquietanti del film, oltre che ben girate. E’ ispirata alla vicenda, appena tratteggiata da Saviano nel libro, di due giovani malviventi violenti e ambiziosi, restii a farsi addomesticare e integrare dal potere locale, dal clan dominante su Casal di Principe. Faranno una brutta fine.
Tony Servillo interpreta invece un esperto di rifiuti tossici, un venditore di morte; è la faccia presentabile e cosmopolita dell’illegalità, la saldatura tra interessi, quelli delle aziende del Nord che devono smaltire i rifiuti tossici e il guadagno facile che dà liquidità alla camorra ed è generato dallo stoccaggio di fusti e carichi di tir, nelle cave e nei terreni della Campania. Infine c’è la storia di Pasquale, sarto abilissimo nel dare forma agli abiti più complessi e richiesti. Nel libro di Saviano la si legge nelle prime pagine: è quella che Garrone segue con maggiore aderenza al testo.

Gomorra raccoglie la grande eredità del cinema neorealista italiano, tra impegno sociale e analisi documentaristica. Finalmente l’Italia fa un film come si deve.

Umberto Maffei

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