‘Gli ultimi saranno ultimi’ ma con dignità

Titolo: Gli ultimi saranno ultimi
Autore: Massimiliano Bruno
Regia: Giampiero Solari e Furio Andreotti
Costumi: Alberto Moretti
Musiche: Rocco Tanica
Luci: Paolo Manti
Interpreti: Paola Cortellesi
Produzione: Ballandi Entertainment 

Inizia con un’irruzione sonora lo spettacolo della Cortellesi. Mai tale affermazione fu più azzeccata. L’attrice romana infatti non solo è unico personaggio dell’opera in scena, ma ne ha anche curato la realizzazione a partire dalla sceneggiatura, insieme a Massimiliano Bruno, Riccardo Dilani e Furio Andreotti. 

“Gli ultimi saranno i primi” ma “u Signuruzzu non ha detto precisamente quando!”. Partiamo dalla conclusione disincantata dello spettacolo che in maniera circolare richiama o meglio spiega il riferimento al titolo, nonché alla parola del Vangelo. Basta con parabole e/o proverbi incantatori che promettono felicità e speranza quando invece la realtà è dura, amara. Questo è il grido di vendetta che a denti stretti urla la reale protagonista di questa tragicommedia. Luciana è un’operaia, che al settimo mese di gravidanza viene licenziata, anzi “non le viene rinnovato il contratto”, che in questo sistema ipocrita suona diverso. La sua stanchezza, non la pazzia, sfocia nella disperazione di un gesto folle con i risvolti dolorosi e negativi che ciò comporterà. 

La vicenda si svolge all’interno della Green Life, multinazionale produttrice di dentifrici, tutta in una lunga, tetra notte, in cui si incrociano i destini di uomini e donne, che pur essendo molto diversi gli uni dagli altri per provenienza, carattere ed estrazione sociale, si troveranno a vivere un’esperienza comune. La storia di Luciana viene narrata da Teresa, l’anziana siciliana, donna delle pulizie, con la passione per le canzonette. Responsabile del licenziamento e dunque della disperazione della giovane operaia, è Carla Liverani, amministratrice delegata della compagnia, piegata alle fredde leggi del mercato, ma che nel segreto del suo ufficio spende il suo tempo in chat erotiche con “Prepotenza Pelvica”. Ancora vengono presentati un’ingenua poliziotta di provincia che si affeziona ad un trans colombiano e un guardiano notturno abruzzese che mangia solo frittate e aspetta la pensione. Sei personaggi interpretati magicamente dalla sola Paola Cortellesi in vestiario semplice e nero, saltando con disinvoltura dall’uno all’altro. Ogni volta un dialetto diverso (fedelmente riprodotto), una persona differente, ma sempre lo stesso tono, dissacrante. Complici le luci e la bravura della Cortellesi, appaiono altri personaggi secondari in scena, come la segretari molto invadente con la sua “cuccuma”, il collega della guardia giurata che non sa sparare, il marito di Luciana (voce fuori campo di Valerio Mastrandrea) che lavora in Germania e non può assistere la moglie durante la gravidanza, e infine Mario, il bimbo nel ventre di Luciana. Lei morirà, ma lascerà vivo nel figlio appena nato un importante insegnamento: non vivere da pecora, ma da lupo per farsi sempre valere nella vita!

E questo è anche il messaggio che gli autori vogliono trasmettere al pubblico nelle sale italiane. Presentare uno spaccato, malauguratamente sempre più vero e vivido, dell’Italia di oggi con riflettori puntati sullo squallido mondo del precariato, della provvisorietà, nella cornice di un sistema sociale che non dà alcuna garanzia, soprattutto ai più deboli (donne in primo luogo). Riesce bene nell’intento comunicativo l’attrice con il solo ausilio di una piattaforma rotante in scena, il movimento delle luci e la sua mimica.

Non aspettatevi dunque la solita cabarettista, ma la conferma di un’attrice di talento, poliedrica, camaleontica, capace di dar vita ad un monologo critico, sofferto, strappando a volte qualche risata. E il sorriso amaro di chi questa storia la sente propria. Della gente che “arriva al punto che sbrocca”.

Benedetta Motta

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