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“Stiamo vivendo giorni molto densi, ma quello che sta accadendo in queste ultime ore, sta dando un nuovo senso alle mobilitazioni”. Con queste parole ha esordito il professor Gianni Piazza che, giovedì scorso, nell’ambito dell’incontro-dibattito che si è tenuto nell’Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche di Catania, ha presentato il volume “Alla Ricerca dell’Onda” di cui è co-autore. All’incontro hanno preso parte anche Fabio De Nardis dell’Università del Salento e Alberta Giorgi, co-autrice del volume insieme a Loris Caruso e Alice Mattoni.
Il professore Piazza, docente di Scienza politica e ricercatore alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania, è uno dei catanesi più attivi nella protesta contro il Ddl Gelmini. Inoltre, è parte di quel gruppo di ricercatori, precari e studenti che lo scorso 22 novembre ha occupato il tetto della Facoltà di Architettura di Roma, generando l’ondata di mobilitazione che si è verificata in questi ultimi giorni e che ha interessato i tetti delle principali università d’Italia.
In merito all’origine del volume, che si concentra sui quattro casi emblematici di Roma, Milano, Catania e Lecce, il professore Piazza ha spiegato che questo “nasce dall’incontro di alcuni ricercatori e attivisti che hanno preso parte tra il 2008 e il 2009 a quel movimento di protesta conosciuto come Onda Anomala”. Ha poi aggiunto: “tutti noi autonomamente abbiamo svolto delle ricerche sulla partecipazione ai movimenti. Poi, abbiamo pensato di metterle insieme”.
Secondo Piazza, lo scopo del testo non sarebbe stato semplicemente quello “di raccontare, ciò che era accaduto qualche anno fa, ma piuttosto di analizzare quegli eventi che avevano prodotto una serie di mobilitazioni lungo tutto il Paese, e che sembravano essersi dissolte fino al momento in cui, qualche settimana fa, si sono presentate le nuove ondate di mobilitazione contro il Ddl Gelmini”.
La parola passa ad Alberta Giorgi, ricercatrice all’Università di Milano, che riguardo al volume ha aggiunto: “Questo libro è nato dalla necessità di capire quali potessero essere stati i motivi che avevano portato alla nascita di un fenomeno di mobilitazione così ampio, proprio in quelle università in cui, fino a quel momento, la partecipazione ai movimenti di protesta era sempre stata piuttosto bassa. Ma l’Onda Anomala poté contare sulla partecipazione di persone che fino ad allora non si erano mai mobilitate”. La studiosa ha poi continuato: “Durante le mobilitazioni ci siamo chiesti chi fossero gli altri mobilitanti e quali fossero le ragioni e gli obiettivi della protesta. Per rispondere a queste domande abbiamo iniziato una auto-inchiesta che ha portato in fine alla pubblicazione di questo testo”.
Fabio De Nardis, nel corso del suo intervento ha, invece, spiegato: “Questo testo è importante e interessante. Ma uno scienziato sociale ortodosso ne criticherebbe molti aspetti. In primo luogo lo farebbe perché chi lo ha scritto è troppo appassionato, e questo è un elemento scientificamente criticabile. E in secondo luogo perché è frammentario e disorganico. Infatti, a causa dell’intenzione di presentare un movimento nel momento in cui si è articolato, non è stato possibile progettare un disegno unitario a livello nazionale. Però bisogna riconoscere che se non ci fosse questo testo non ce ne sarebbe nessun altro in cui si parli di questi movimenti di protesta”.
Secondo De Nardis, durante le mobilitazioni di due anni fa, “l’Onda Anomala ha vinto da un punto di vista simbolico, ma ha perso su quello programmatico e progettuale”. Mentre, su quanto sta accadendo negli ultimi mesi, il docente non ha dubbi: “Per la prima volta nella storia, lo Stato democratico italiano fa un passo indietro rispetto al proprio ruolo responsabile nella gestione della formazione pubblica del nostro paese: scuola e università”.
Lo stesso De Nardis ha poi chiarito come questo rappresenti “uno stop nei confronti della nostra carta costituzionale”, poiché, negli articoli 33 e 34 della costituzione si legge di come lo Stato “abbia l’obbligo di costituire scuole, e di conseguenza università, su tutto il territorio nazionale” e come questo abbia una forte potenza simbolica, in quanto “non esiste nessun articolo in cui si legge dell’obbligo per la Repubblica italiana di costruire ospedali”. Ciò si spiega, secondo lo studioso, perché “evidentemente i nostri costituenti, dopo vent’anni di dittatura, avevano deciso che, in uno stato democratico, è meglio morire che vivere da ignoranti”.
Gianni Piazza, in conclusione, ha fatto il punto sulla situazione attuale, sottolineando che “questa protesta, fino a pochi giorni fa, è stata portata avanti prevalentemente dai ricercatori che ne sono stati l’asse portante, mentre la mobilitazione degli studenti, che è avvenuta soltanto negli ultimi 10 giorni, è stata molto difficile. Tanti giovani hanno reagito come se il problema fosse solo dei ricercatori”. Ha poi continuato: “Quando siamo saliti sui tetti non lo abbiamo fatto per il nostro destino personale, perché in fondo molti di noi non rischiano di perdere il lavoro. Lo abbiamo fatto per acquisire visibilità, per far sì che il nostro diventasse un problema dell’opinione pubblica”.
Il professore catanese ha infine concluso evidenziando che “la maggior parte dei movimenti vincono sul piano simbolico, ma vengono sconfitti riguardo il loro obiettivo principale. Questa mobilitazione corre il rischio di fare una cosa che i movimenti non fanno mai: vincere”.
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