Gli spazi bianchi di Broodthaers

Nel mio precedente articolo parlavo di Transavanguardia italiana citando il notissimo critico d’arte Achille Bonito Oliva che la scoprì, la sostenne e la lanciò. Si scriveva di arte non concettuale e di Enzo Cucchi, mentre in questo pezzo si parte sempre da Achille Bonito Oliva per presentare Marcel Broodthaers e della sua conoscenza ed entusiasmo per la letteratura. Amore dichiarato con l’ammirazione per Stéphane Mallarmé e per il suo scritto “Un coup de dés”. Un coup de dès jamais n’abolira le hasard, ovvero che un tratto ai dadi mai abolirà la sorte.
Broodthaers ricevette in regalo una copia del poema di Mallarmè dal suo amico René Magritte e questo testo divenne per lui un anello di congiunzione tra la produzione letteraria e le sue opere d’arte che realizzò all’inizio degli anni Settanta. A interessarlo erano sia le qualità letterarie che quelle visive dell’opera di Mallarmé. Oltre che dalle parole, egli era attratto dai cosiddetti “spazi vuoti” sulla pagina, ovvero gli spazi bianchi che giocano lo stesso ruolo del silenzio e il cui significato, nella fattispecie, era tanto importante quanto quello attribuito alle parole.
Parliamo di arte puramente e decisamente concettuale. L’arte concettuale si opponeva al sistema ed era la ricerca spontanea di soluzioni alternative che si manifestavano in diverse direzioni, ma sempre nel segno della libertà e della sperimentazione del nuovo. Gli artisti si rifacevano frequentemente ad esperienze e intuizioni anticipatrici che trascendendo la consistenza materica della pittura si aprivano all’universo sconfinato del reale.
Sono le esperienze tendenti a liberare l’arte dalla schiavitù dell’oggetto e privilegiano il processo mentale che precede l’esecuzione e nel quale l’opera è già compiuta. Ed è proprio il pensiero, il concetto, che diviene centrale per la nuova poetica artistica che assumerà appunto il nome di “concettuale”, a discapito del prodotto. Allontanando l’arte dall’identificazione con il manufatto e concependola come idea per far divenire la storia dell’arte come storia di idee.
La posizione porta però l’artista concettuale ad un comportamento ambiguo e contraddittorio nei confronti della produzione artistica, perché rifiuta il prodotto mercificabile, ma registra in progetti, fotografie, video la sua azione e questi ultimi finiscono per sostituire la stessa mercificazione con la vecchia logica di mercato per le opere tradizionali

E in virtù di questa ottica si esprimeva Broodthaers, in mostra al ‘Mambo’ di Bologna fino al 6 maggio prossimo, dove vengono esposte 50 lavori tra oggetti, incisioni, film, libri, diapositive, stampe fotografiche e fotografie. Il titolo della mostra è: “L’espace de l’ècriture”, che ripercorre le opere di Broodthaers dal 1968 al 1975. Il fine è quello di esplorare il rapporto tra scrittura, bilanciato tra arte e poetica, con la funzione sociale dell’opera d’arte che fu definita arte concettuale. Ritorniamo allora a Mallarmè, in cui quegli spazi bianchi giocano lo stesso ruolo del silenzio e il cui significato è tanto importante quanto quello attribuito alle parole. Ma questo è come valutare i silenzi nella manifestazione di un artista.
Seguitemi nella mia roulade. Sarebbe come dire che Adriano Celentano è un artista concettuale se rivalutiamo i suoi silenzi e le sue pause. In verità, i silenzi e le pause di Celentano anticipano sempre le sciocchezze vomitate senza punteggiatura dal ‘Molleggiato’ quando parla. Celentano non pensa ma molleggia. Altro è, e altro sono i silenzi e le pause del grande autore teatrale Eduardo De Filippo, che mai aboliranno la sua sorte che è quella di inventare e creare attraverso la parola scritta e recitata. I suoi silenzi rivalutano la scrittura recitata, ma questo non modifica i suoi significati ma li sottolinea. Mi rendo conto che sebbene prendesse le distanze dal suo passato da poeta per diventare definitivamente un artista, Broodhaters era ancora un poeta anche se utilizzava oggetti e parole per sconvolgere la sua percezione del mondo e poter creare qualcosa di unico. Trattava molti temi alla volta, tutti interdipendenti e connessi a lavori completamente diversi, che unite formavano una matrice di significati ad incastro per correre in un flusso incontrollato di parole scritte senza punteggiatura lungo le sue pagine snodate in corpi e caratteri diversi tra loro scadenzate da margini bianchi.
L’arte concettuale smaterializza la parola per ripresentarsi in immagine dando, dal punto di vista di Bonito Oliva, abitabilità concreta al pensiero. Questo era forse ipotizzabile nel 1970, ma oggi la vera scoperta abita all’interno della parola, scarnificata sì da concrezioni di secoli anche mostrando le fila delle nostre labbra. E solo dal suo puro utilizzo potremo scoprire che le parole scritte non erano altro che sabbia. Si ha anche voglia e volontà di parlare di significati e significanti, di verità ed inganni, ma la parola è la parola, la parola che vola nell’attimo che crea. Bonito Oliva considera intensissimo un film di Broodthaers a 16mm “La pluie”, che riprende un poeta al lavoro che scrive sotto una pioggia scrosciante che sciogliendo l’inchiostro cancella la parola. La scena dovrebbe rappresentare la poetica dell’artista, l’identità dell’opera e l’impossibilità di conoscere totalmente le cose. In questo si vuole ravvisare un ironia del Broodthaers che in realtà, non se ne abbia a male Oliva, noi non condividiamo. In ogni caso, se pensiamo che buona parte della sua opera mise in discussione il ruolo del museo nel riflettere la società contemporanea, si percepisce un profondo senso non di ironia ma di malanimo verso la “conservazione in naftalina” adottata dai musei nei suoi confronti. Broodthaers crea puzzle che affina continuamente ed incessantemente accogliendo l’interferenza di eventi nuovi ed improvvisi. Broodthaers morì lasciandosi dietro poemi, oggetti, dipinti, libri e molto altro sotto forma di “eredità vivente”. Sebbene sia stato una figura internazionale di rilievo nella scena degli anni Sessanta e Settanta e che abbia voluto contribuire alla comprensione del mondo delle idee è, a mio avviso, rimane sempre un outsider.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosaria Palladino

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