Gli inizi della cooperativa Azdak «Impresa in direzione ostinata e contraria»

Mi è stato chiesto di rievocare un tempo lontano, il tempo di un’avventura giovanile, e certo mi lusinga che quell’avventura susciti interesse in chi è giovane adesso: la fondazione della cooperativa Azdak, il cinema d’essai a Catania, il glorioso Mirone, nell’anno accademico in cui si cambiava decennio, finiva la lunga stagione della ribellione e dell’impegno e iniziava quello che allora fu detto il riflusso. È celebre la vignetta di Altan, comparsa sulla prima pagina di Linus alla fine degli anni settanta, in cui un disorientato Italo diceva: «Mi sorprende questo riflusso moderato, mi devo essere perso il flusso progressista». In realtà il flusso progressista c’era stato, ne dà conto oggi qualunque manuale scolastico che riporta le tante e importanti innovazioni della realtà politica e sociale dell’Italia di quel decennio, Italo si era distratto o forse era stato confuso dalle contraddizioni stridenti dell’epoca in cui quelli della mia generazione erano immersi.

Questo voglio dirvi subito di quella impresa, il senso che a mio avviso possiamo attribuirle oggi guardando ad essa da così lontano: fu un’impresa in direzione ostinata e contraria, fu la scommessa che ciò che di meglio poteva conservarsi della stagione che andava scemando, non si perdesse, ovvero l’impegno culturale, in particolare nel campo del cinema, che era stato parte dell’impegno politico dei giovani negli anni sessanta e settanta. Le illusioni svanivano, le esperienze a cui con molta presunzione avevamo attribuito una capacità rivoluzionaria, si esaurivano, per lo più ingloriosamente, e talvolta con strascichi dolorosi per tanti, e proprio allora veniva gettato un seme che avrebbe attecchito dando alla città di Catania un’occasione di conoscenza, di apertura culturale che altri (non io che ho solo partecipato agli albori dell’impresa) ha proseguito per così tanti anni.

Ho detto l’opinione prima del fatto, ma il ricordo dei dettagli è sbiadito e poi, tra appassionati di cinema, dobbiamo tener conto dell’ammonimento di Akira Kurosawa, nel capolavoro Rashomon, sulla soggettività delle ricostruzioni del passato; una certezza però è il nome della cooperativa, del quale posso svelare a chi non ne conosce l’origine, il segreto. Fu preso dal Cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht, che mi sembrava allora, e non ho cambiato opinione, il più bel dramma dell’autore tedesco, che narra di un bambino del quale è in gioco la salvezza in un periodo di grandi trambusti, e di un bizzarro tipo di intellettuale, lo scrivano del villaggio Azdak, che trovatosi inopinatamente ad amministrare la giustizia, si rivela un nuovo Salomone e affida il bambino alla balia che lo ama piuttosto che alla superba madre naturale. Non è il caso di cercare oggi interpretazioni particolari di quella scelta, c’era certamente un’apprezzabile dose di autoironia, e comunque il nome fu di buon auspicio vista la continuità che quell’impresa ha avuto.

Infine un ricordo: quello dell’antro dell’operatore, il bravissimo signor Pappalardo, a cui mi legava stima e affetto conservati nella memoria, un vero professionista che un giorno trovai nella assai precaria cabina in cui lavorava, con l’acqua che gocciolava per un’infiltrazione dal soffitto, stava sistemando dei fogli di plastica per evitare che una goccia d’acqua cadesse sulla macchina surriscaldata e provocasse un’esplosione, ma …the show must go on… la sua deontologia gli impediva di interrompere la proiezione, così, per solidarietà rimasi accanto a lui, vivendo una situazione simile a quelle che ci ha mostrato Tornatore in Nuovo cinema paradiso.

Un altro mondo, per i nativi digitali, un mondo di oggetti ormai da museo, come i borderò che Tommaso compilava ogni sera, per non parlare dello schermo ingiallito dal fumo delle sigarette che sino a pochi anni prima riempiva ogni sala cinematografica. Ma queste romanticherie contano poco, perché, fatto salvo il 3D a cui non ho ceduto, quando si fa buio in sala e le immagini invadono il campo, il cinema è ancora sempre quello, la stessa magia, forse addirittura la stessa dai tempi di Meliès, del quale al cinema Mirone proiettammo, in collaborazione con l’Istituto francese, alcuni preziosi cortometraggi, mentre in sala un pianista accompagnava le scene. Il secolo del cinema si sta dimostrando assai lungo.

Saluto tutti voi e la mia cara città natale.

 

[Foto di tim ellis]

Vincenzo Bonaccorsi

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