«Noi infermieri non siamo più gli stessi di trent’anni fa. Prima eravamo tenuti nell’ignoranza, adesso abbiamo lauree e specializzazioni. Ma la casta dei medici continua a fare resistenza». Aiutata, nel caso della Sicilia, dall’assessorato regionale, secondo Calogero Coniglio, responsabile siciliano Cni-Fsi (coordinamento nazionale infermieri aderente alla federazione sindacati indipendenti). Al centro della polemica è ancora la guida per il paziente che si ricovera in ospedale, decreto emanato a fine ottobre dall’assessorato alla Sanità della Regione Sicilia guidato da Lucia Borsellino e già criticato sulle pagine di CTzen da Alfonso Megna, ex infermiere allospedale Cannizzaro. «Nel documento vengono descritte in modo completamente inesatto le reali competenze dell’infermiere – spiega Coniglio – La commissione che lo ha redatto non conosce l’evoluzione normativa, professionale e accademica che negli ultimi dieci anni ha riguardato gli infermieri».
Figure specializzate, tramite un percorso universitario ed eventuali master, che dovrebbero essere di supporto al medico nelle terapie. «E invece i compiti dell’infermiere, secondo il testo, sono quelli di accogliere il paziente, accompagnarlo in bagno, occuparsi della sua igiene e spiegargli come funziona il reparto – continua Coniglio – Per noi è dequalificante». Mansioni che comunque il personale infermieristico svolge: «Facciamo due lavori, di cui uno non tocca a noi. Ma, se siamo due infermieri con trenta pazienti, non posso certo negare loro l’assistenza». Le procedure cosiddette alberghiere – che non riguardano cioè la vita quotidiana in ospedale – al centro del decreto toccherebbero infatti agli operatori socio sanitari, assenti però negli ospedali siciliani per un blocco burocratico. «In tutta Italia è stata istituita un’altra figura professionale chiamata operatore di supporto all’infermiere, formata nelle scuole e che ha accesso all’ospedale tramite concorsi pubblici – spiega Coniglio – Con questo aiuto, l’infermiere si può occupare della parte tecnica, come le terapie, le urgenze, la trasfusione di una sacca di sangue, senza doversi assentare per cambiare una maglietta a un degente».
In Sicilia, l’assessorato che rispondeva al passato governo regionale – e di cui l’attuale assessore Borsellino era dirigente – aveva predisposto un bando apposito per la formazione di queste figure tramite fondi europei. «Era tutto pronto, alcuni di noi avevano già fatto domanda come docenti nei 138 enti di formazione accreditati in tutta la Sicilia, ma poi non se n’è fatto più niente». Bloccata la formazione degli Oss, a risentirne è stata anche la loro mancata assunzione. «Perché per fare un concorso si preferiva attendere la fine del ciclo di formazione – spiega Congilio – In modo da fare partecipare anche chi prendeva il diploma pubblico e non solo i privatisti». Un cortocircuito burocratico che non accenna ad essere riparato. «Sembra che adesso la parte economica del bando tocchi all’assessorato alla Formazione ma, con i recenti scandali che hanno riguardato i centri appositi, la questione è in stand-by».
E nessuno sembra interessarsene, denuncia Coniglio, «anche perché la casta medica non vuole che l’infermiere cresca». Una contrapposizione che sarebbe presente in tutta Italia. «Al Nord, per esempio, esiste già l’infermiere di famiglia, ma molti sostengono che tolga spazio al medico di base». La polemica non è isolata ma altrove, fa notare il coordinatore Cni-Fsi, la politica regionale ha saputo tenere testa agli interessi di categoria a vantaggio dei pazienti. «Gli assessori alla Sanità della Toscana e dell’Emilia Romagna avevano assegnato agli infermieri del pronto soccorso la possibilità di eseguire piccole diagnosi dei codici bianchi, dopo 600 ore di formazione aggiuntiva. Un modo per smaltire le attese – racconta Coniglio – L’ordine dei medici è insorto, denunciando gli assessori alla procura per abuso della professione medica. Ma i due non si sono fatti intimidire e il progetto va avanti, in attesa della magistratura».
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