Gli imprenditori accusati di portare la mafia a Expo Il cordone con Cosa Nostra impossibile da tagliare

Giuseppe Nastasi da Castelvetrano e Liborio Pace da Pietraperzia. Sono loro i due imprenditori che avrebbero portato Cosa Nostra dentro l’Expo di Milano. Gestori di fatto, anche se non formalmente, delle società che hanno allestito l’auditorium, il palazzo dei congressi, i padiglioni di Francia, Guinea, Qatar e Birra Poretti. Nel giro di tre anni – dal 2013 al 2015 – il consorzio di cooperative Dominus Scarl ha ricevuto 18 milioni di euro da una delle società controllate da Fiera Milano, la Nolostand, adesso commissariata. E parte di quei soldi sarebbero finiti in Sicilia. Soltanto in due sequestri le forze dell’ordine hanno intercettato circa 700mila euro. Una pioggia di contanti, spediti nei modi più disparati: dentro i camion, nella scatola di una piscina gonfiabile, nascosti in buste di vestiti nei portabagagli delle auto. I due sono stati arrestati ieri nell’ambito dell’operazione Giotto, coordinata dalla Procura di Milano. Devono rispondere di riciclaggio e associazione per delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa

Gli inquirenti non hanno dubbi: «Per Nastasi e Pace, ormai stabilmente radicati in territorio lombardo, senza più alcun interesse economico né una casa in Sicilia, non avrebbe avuto alcun senso nascondere il denaro in Sicilia, quasi come se tale luogo fosse uno di quei paradisi fiscali dove pure in parte sono transitate le somme da loro versate a seguito dell’emissione di fatture fittizie». Insomma, sostiene il gip, «l’unico significato» per quelle spedizioni di contanti in Sicilia è da collegare «ai bisogni dell’associazione mafiosa». 

La direzione dei contatti pericolosi di Nastasi e Pace sarebbe doppia: da una parte andrebbe verso la famiglia mafiosa di Pietraperzia, destinataria dei soldi; dall’altra prenderebbe la strada di Castelvetrano e Partanna e giungerebbe, anche se non direttamente, fino a Matteo Messina Denaro. Nel primo caso la figura chiave è Angelo Cacici, «componente della famiglia mafiosa di Pietraperzia, come accertato dalle sentenze». Sarebbe lui, compaesano di Pace, a fare da «garante» del flusso di denaro che dalla ricca Milano doveva tornare al paese di origine. È lo stesso Nastasi a definire Cacici «assetato di soldi». «Minchia – dice l’imprenditore parlando con la moglie – se non fosse stato per me stava morendo di fame». Cacici, uscito dal carcere e senza un lavoro, avrebbe goduto del sostegno di Nastasi e Pace. In particolare i due gli avrebbero dato 60mila euro. «Gli sono serviti fra matrimonio, viaggio di nozze, regali, bomboniere, tutto…», confida Nastasi ancora alla moglie. E il gip sottolinea che «la motivazione di tali elargizioni deve ricondursi alla posizione di appartenente all’associazione mafiosa siciliana di Cacici che, uscito dal carcere, ha avuto necessità di sostentamento».

Un trattamento che, in realtà, era stato riservato allo stesso Pace – sposato con Rosanna Anzallo, figlia di Giuseppe Anzallo, condannato per associazione mafiosa – e pure lui finito in passato in carcere per mafia e poi prosciolto. «A questo io gli ho cambiato la vita», spiega Nastasi alla moglie che replica: «Lo hai fatto venire in ufficio, lo hai stipendiato, alla fine te lo sei messo socio». «Non siamo soci – risponde il marito – va beh però, le ditte sono mie ma che devo fare, dividiamo…». Pace, d’altronde, è cognato di Vincenzo Monachino, referente mafioso della famiglia di Pietraperzia, ed è proprio quest’ultimo, secondo gli inquirenti, «ad aver condizionato l’inserimento di Pace nelle attività imprenditoriali di Nastasi». Un cordone ombelicale impossibile da tagliare, quello con la Sicilia, al punto che, quando Nastasi comincia a rivendicare una certa autonomia, Cacici s’infuria. «Tu non ti puoi permettere di parlare in questa maniera – spiega a Pace parlando di Nastasi – non è che dice “non ho bisogno di nulla, non ho bisogno di nessuno, a noi altri non ci possono fare niente”. Se parla in questa maniera, digli che se ne esce con 15mila euro al mese, perché gli faccio smontare tutte cose in fila». 

La seconda direzione che porta a Cosa Nostra siciliana prende la strada di Trapani. Dalle intercettazioni emergerebbe la vicinanza tra Nastasi e Nicola Accardo, ritenuto esponente di spicco della famiglia dei Cannata di Partanna, amica da decenni di quella di Castelvetrano di Matteo Messina Denaro. A raccontare il potere della famiglia Accardo sul territorio di Partanna e la solida alleanza con i Messina Denaro sono state, tra le prime, Rita Atria e Piera Aiello. Secondo il gip, Nastasi è in rapporti di «amicizia e frequentazione» con Nicola Accardo. Quando quest’ultimo va a Milano, il primo lo aiuta per il trasferimento dall’aeroporto, gli trova e gli paga l’albergo, gli indica ristoranti. Disponibilità ricambiata quando Nastasi torna in Sicilia per le feste. Favori e cortesie che per gli inquirenti non si giustificano solo con un rapporto di amicizia. L’imprenditore di Castelvetrano «conosce pienamente la caratura criminale di Accardo», ma tiene i rapporti, anche di fronte alla contrarietà della moglie. «Non è normale questa invadenza – insiste col marito – ma tu non puoi pensare che uno è giù e deve venire sempre a casa tua, l’ha scritto il dottore? Non va bene! E tu mi capisci quando dico che non va bene se sei intelligente». 

Un quadro definito «desolante» dal gip che indica anche gli elementi da approfondire ulteriormente. A cominciare da com’è stato possibile che i vertici della società Nolostand, controllata da Fiera Milano, abbiano continuato ad avere rapporti con Nastasi e Pace, nonostante le lettere anonime che segnalavano la presunta mafiosità del primo, e nonostante i due non avessero alcun ruolo formale nelle società che sono finite a lavorare in uno degli eventi più blindati e controllati di sempre

Salvo Catalano

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