«Violenza». Una parola che, in poco più di duecento pagine, ricorre oltre sessanta volte nelle carte dell’ennesima operazione contro la mafia nigeriana. Un dettaglio, questo, che restituisce la cifra distintiva del nuovo cult appena sgominato, che conta adesso tra le sue fila otto fermati. Tutti, o quasi, appartengono ai Vikings, un gruppo criminale organizzato nato in Nigeria ed esportato poi in mezza Europa. Così come per la confraternita Eiye e, pima ancora, per la Black Axe, anche i membri di questo gruppo si distinguono per mancanza di scrupoli e imprevedibilità. «Bagass», vale a dire «zaino per rubare», è l’altro nome con cui sono conosciuti in Nigeria. Ma vennero «solo dopo», a sentire i racconti del primo pentito della mafia nigeriana, Austine Johnbull, rispetto agli altri gruppi criminali. «Per salire di grado dai Vikings bisogna fare una grave rapina. I Vikings possono attaccare un camion», raccontava ai magistrati nel 2017 lo strong man della fazione rivale, quella dell’ascia nera, un gruppo in cui «per uno ucciso di noi, noi ci vendichiamo uccidendone 10-15 di loro. Se uccidono uno di noi in Nigeria, poi è guerra totale».
La violenza, quindi, non è solo lo strumento attraverso il quale dominare sul territorio di riferimento. Ma, prima ancora, per gestire gli scontri, le sfide con gli altri cult. Straniero, però, non è sinonimo di sodale. Sono in molti gli africani che, arrivati qui, più che cercare un gruppo criminale di riferimento cercano la tribù di appartenenza. Ma succede che sia «la cattiveria a corromperli», come raccontato da un altro collaboratore. Qualunque sia il cult cui decidi, volente o nolente, di aderire, il vantaggio è che «nessuno ti può intimidire, né in Nigeria né qui». Una circostanza che, forse, fa gola a molti. Specie se si ritrovano in una terra che non è la loro, che a tratti li accoglie a tratti li rifiuta. «Oggi creano più problemi i Vikings – racconta ancora il collaboratore -. Capisci di trovarti di fronte ai Vikings se vai in un locale e vedi gruppi di più di cinque persone. Se ad esempio mi vesto di rosso i Vikings si arrabbiano chiedendomi chi mi ha dato l’autorità per vestirmi di rosso. Anche con la musica i Vikings fanno problemi: se ad esempio uno suona in pubblico una canzone loro, ci sono dei problemi». Come ce ne sarebbero a indossare il cappello rosso tradizionale degli antenati nigeriani usato dai membri del cult.
Degli estremisti con poca pazienza, sembrerebbe. E, come tutti gli altri sodali di gruppi diversi, dalla violenza facile. Basta un niente per fare scattare un Viking. Compreso il mettersi in mezzo per sedare un litigio già in corso. «Qualcuno venendo alle mie spalle mi colpì con due schiaffi al volto all’altezza delle orecchie. Gli altri presenti nel locale mi cominciarono a colpire perché loro facevano parte tutti dello stesso gruppo a cui io non appartengo. Un uomo aveva in mano due bottiglie di birra, mi ha spinto contro il muro e sono caduto. Appena mi sono alzato un altro mi ha dato un pugno dritto in bocca, quello con le bottiglie mi ha colpito al braccio. Io sono riuscito a divincolarmi e a fuggire da lì. Non avevo come chiamare l’ambulanza e tornai a casa, andai in ospedale il giorno successivo per farmi aiutare perché avevo i denti rotti e varie ferite». Succede una sera di novembre dell’anno scorso, in un locale affollato vicino piazza del Carmine, dove sono in corso i festeggiamenti per la nascita di un bambino. «Molti hanno assistito alla mia aggressione, ma nessuno verrebbe a testimoniare, hanno troppa paura».
«I Vikings sono un secret cult – spiega ancora -, sono una mafia, sono arroganti, sono un gruppo di persone violente che lavorano insieme, che si accordano tra loro e lavorano in modo segreto. Da lunedì alla domenica successiva ci sono sempre aggressioni e risse a causa loro. Una settimana fa so che qualcuno in un altro bar ha perso pure un occhio a causa dei secret cult.Sono molto violenti, un uomo ha provato ad uccidermi prendendomi per il collo e cercando di strangolarmi. Sono stato già picchiato altre volte». E i tentativi di farlo fuori, ormai, non li conta più. «Mesi fa qualcuno mi ha aggredito nel sonno mentre dormivo per strada vicino a un locale – rivela ancora il collaboratore -, mi hanno ferito al volto. L’aggressore, pagato in eroina, ora è in prigione, ho saputo che si vantava a alta voce di avermi aggredito e di avere preso a colpi di martello un altro ragazzo». Aggressori tutti residenti a Ballarò, base operativa del cult, secondo quanto emerso dalle indagini.
Il motivo di tanto accanimento nei suoi confronti sarebbe un corteggiamento non reciproco: «Loro vogliono che io entri nel loro gruppo e già avevano mandato uno di loro per convincermi ad entrare nei Vikings, per avere la loro protezione ed evitare così di continuare ad essere picchiato». Qualora volesse aderire, dovrebbe anche versare 250 euro per «comprare il materiale che serve per farmi fare il giuramento ed entrare nel gruppo». Un rito che «impegna fino alla morte» a mantenere il segreto del cult e a rimanere fedele ai suoi membri. Solo che, contrariamente alle aspettative, il collaboratore dice di no. «Io ho i genitori in Africa che aspettano i miei soldi per mangiare, figurarsi se io potevo dare 250 euro per entrare nei Vikings. Da quel momento loro mi hanno cominciato a tormentare». E ancora oggi, a riavvolgere il nastro di quel pezzo di vita vissuto appena un anno fa, piange e si agita di fronte ai magistrati che lo ascoltano in silenzio. «Il gruppo dei Vikings è molto potente – sottolinea più volte -. Mandano delle persone in Africa a prendere la droga. Tutta la droga che vendono a Ballarò viene da loro».
Tuttavia, tra chi ha il compito di tagliare la sostanza stupefacente e chi di spacciarla, c’è anche qualcuno che non fa ufficialmente parte del cult. Ma che si presta per quieto vivere, in un certo senso. E che, all’occorrenza, utilizza a sua volta i Vikings mandandoli a picchiare qualcuno di scomodo. Non servono armi particolari, ai membri del secret cult basta rompere una bottiglia di vetro, oppure avere un coltello o un’ascia. I soldati semplici del cult sono detti floor member, che devono sempre obbedire agli ordini di un capo, che a volte può essere anche colui che gestisce il denaro versato da chi entra nel gruppo criminale, l’executioner, ma gli ordini possono anche venire dai cosiddetti skull guards. Tutte figure intoccabili. «Io ho paura per la mia incolumità e per quella dei miei familiari in Nigeria, perché questi gruppi criminali sono molto pericolosi e proprio in Nigeria possono raggiungere chiunque – rivela, in preda alla paura -. Se io sapessi che la polizia italiana fosse come quella nigeriana non avrei denunciato perché in Nigeria c’è molta corruzione».
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