Giuseppe Acanto e l’avvocato Sucato Il mago di Villabate che raddoppiava le lire

Giuseppe Acanto, il commercialista ed ex deputato all’Ars ritenuto vicino ai boss, a cui oggi la Dia ha sequestrato beni per quasi 800 milioni di euro, si intreccia nel 1990 con la strana vicenda di Giovanni Sucato, il cosiddetto mago di Villabate, coinvolto in una colossale operazione di riciclaggio che consisteva nel ricevere prestiti dietro interessi che facevano persino raddoppiare il capitale.

Lo pseudo avvocato Sucato, era molto conosciuto nel palermitano in quanto riuscì a creare un vorticoso giro di contanti, incassando fino a 100 miliardi di vecchie lire e garantendo il raddoppio in poco tempo delle somme che gli investitori mettevano a disposizione. Finito sotto inchiesta dopo essere sparito con svariati miliardi, Sucato spiegò ai magistrati che il meccanismo con il quale riusciva a raddoppiare in pochi giorni le somme di denaro era lecito e consisteva nel commerciare con l’oro e di avere fatto fortunati investimenti comprando in Francia partite di formaggi prossimi alla scadenza per rivenderli in Africa. Spiegò anche, producendo i documenti, di aver depositato presso la Banca Kram di Tunisi e presso il Credite Agricole Eurevx in Francia, decine di miliardi. Il pentito Campanella si dice certo davanti ai Pm di Palermo «che molti dei soldi di Sucato sono stati portati al Nord Italia e investiti in società pulite da uno dei collaboratori più stretti del mago dei soldi, il ragioniere Giuseppe Acanto, ex deputato regionale. 

«Tra il ’90 e il ’91, i mafiosi iniziarono a pretendere una parte dei soldi di Sucato. Alcuni raccoglitori furono ammazzati, Acanto subì un attentato al suo studio di consulenza. E per questo scappò. Per un certo periodo, non si sapeva neanche dov’ era. Andò dalle parti di San Benedetto del Tronto. La fuga di Acanto dalla Sicilia finì quando un boss di rango, Simone Castello, mise finalmente una parola buona».

Ma per il mago di Villabate la storia non ebbe un lieto fine. La mattina del 30 maggio del 1996, infatti, fu trovato carbonizzato all’interno della sua auto, lungo la Palermo-Agrigento, nei pressi del bivio per Bolognetta. Per molti si trattò della punizione della mafia per uno sgarro ai padrini della zona, ma nessuno, ad oggi, ha la certezza di chi o cosa abbia determinato la sua tragica fine.

Redazione

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