Giovani, scommettere guardando all’Europa

Il tema dello costruzione del futuro dei giovani a Palermo appare ancora una volta demagogico e soprattutto trattato in modo assolutamente poco professionale da politici o aspiranti tali che sovente non sanno di ciò che parlano e che proprio per tale ragione farebbero meglio a tacere. Un affastellarsi di proposte, speso velleitarie ed ideologiche che “lasciano il tempo che trovano” e non incidono in alcun modo sui veri processi di trasformazione. Ovviamente tutte condite dalle consuete invocazioni a “legalità”, “antimafia”,“uso dei bei confiscati, usate come virgole e punti esclamativi, ricorrenti ogni dieci parola, come la ben nota interiezione frequente nel dialetto palermitano.

Il tempo dei giovani in una città normale inizia dalla scuola pubblica e dalla centralità che ad essa va data quale irrinunciabile priorità organizzativa e finanziaria. A Palermo si comincia a fare esperienza di scuola in locali sovente fatiscenti, freddi, disadorni, in cui risuonano mugugni e lamentele del personale addetto, a partire dagli insegnanti e sino al cosiddetto personale tecnico amministrativo, alle prese con problemi quotidiani di agibilità degli edifici, di sicurezza degli stessi, di preoccupazione innanzitutto per il proprio futuro, di rapporti con famiglie dai comportanti collocati in un’ampia gamma che va dalla mafiosità arrogante che vanifica ogni intervento sugli alunni alla generosa disponibilità a dipingere infissi e a sostituire rubinetti, tubi e altri materiali, a proprie spese e spesso operando direttamente sotto lo sguardo indifferente di chi dovrebbe farlo.

Com’è noto, il Comune ha in carico le scuole elementari e medie e la Provincia gli istituti superiori. Entrambi gli Enti si occupano, quando possono, delle emergenze strutturali, ma non entrano mai nella progettualità, lasciando tale carico ai Consigli d’Istituto, in cui non intervengono mai ad alcun titolo.

La prima proposta a tale riguardo è dunque la ri-progettazione dei rapporti istituzionali tra scuola e amministrazione comunale, da rivedere nella logica dell’articolazione territoriale delle Municipalità, nel pieno rispetto delle caratteristiche identitarie delle stesse, al fine di fare percepire già dalla più giovane età sia la dimensione locale che quella più complessiva della Città, fuori da ogni antica e nuova marginalità.

La progettazione dei curricula (da anni prevista dall’Autonomia Scolastica) dovrà quindi tenere conto di tali elementi e trovare piena rispondenza nella priorità che l’Ente dà a tale settore operando coerenti e prioritarie scelte di bilancio.

Il Comune, nell’articolazione specifica della Municipalità, è dunque il vero ed unico committente delle politiche scolastiche e deve trovare presso dirigenti, insegnanti e personale tecnico della scuola interlocutori attenti, interfacciando gli stessi con professionalità adeguate sul piano tecnico operativo, pedagogico e di sostegno alle situazioni difficili.

Prima del termine delle attività scolastiche andranno sviluppati veri e propri tavoli tecnici Scuola/Comune/Municipalità atti a predisporre politiche educative finanziabili con fondi comunitari, piani operativi e iniziative formative extracurriculari dell’anno successivo, ponendo al centro obiettivi educativi coerenti con gli specifici bisogni dei territori in questione.

Analoga sinergia va stabilita con l’amministrazione provinciale (finché esisterà) perché la cesura attuale in termini di interventi tecnici e di contenuti formativi venga colmata in nome di quella continuità educativa che è essenziale nel processo di sviluppo delle singole individualità. Ad oggi, per esempio, l’attività di orientamento è sporadica, se non assente, e si limita a far conoscere agli adolescenti l’esistenza di questo o di quell’Istituto Superiore, senza tener conto delle vocazioni delle persone e delle caratteristiche dei territori.

Non va trascurato lo straordinario apporto che tale sinergia può e deve trovare nell’associazionismo giovanile di ogni genere, quella “marcia in più “ e quell’apertura verso la società ed il volontariato (grandissima ricchezza in regioni quali il Veneto e la Lombardia) cui la scuola attualmente non educa, pur con lodevoli ma poco significative e individuali eccezioni.

L’ulteriore passaggio è la piena applicazione di quanto previsto dall’alternanza tra scuola e formazione professionale (le ben note “passerelle”) che consentano al giovane di sperimentare già nella fase della scuola superiore periodi di apprendistato con quelli scolastici, scoprendo magari vocazioni e inclinazioni vero mestieri utili, richiesti e redditizi a breve. Si veda al riguardo la straordinaria esperienza, ormai ventennale, del Comune di Brescia in piena sintonia con l’Ufficio Scolastico e le associazioni di categoria.

Su tutto ciò finora il Comune si è ben guardato di assumere una regia piena e consapevole, sconoscendo in molti casi buone pratiche e modelli virtuosi che in altre parti del Paese fanno della scuola l’anticamera della vita e ne costituiscono la prima e più ricca fase di educazione alla cittadinanza attiva, nell’età più ricettiva della persona.

Se di cesura si è detto circa la continuità tra scuola media e scuola superiore è di abisso culturale ed organizzativo che si deve parlare in ordine al successivo passaggio all’esperienza universitaria.

Nella nostra Città tale scelta è per la maggior parte dei giovani all’insegna dell’assoluta casualità, o, per alcuni corsi a numero chiuso, di cospicui e non sempre limpidi investimenti familiari volti ad “assicurare” la successione di Studi Professionali. Da ciò abbandoni, mortalità studentesca, ritardi che diventano incolmabili e sfociano nella ben nota dimensione di parcheggio vissuta dai giovani palermitani e spesso protratta per disperazione in forme di ulteriore approfondimento “culturale” (lauree magistrali o master universitari estremamente teorici e per lo più non necessari alla maggior parte degli studenti e magari un po’ di più ai docenti). Non a caso nell’Unione Europea la maggior parte dei giovani conclude gli studi con la laurea triennale e poi frequenta un master (spesso esterno all’Ateneo e in cui sono docenti part time manager e specialisti) in cui effettivamente si professionalizzano per proporsi al mercato del lavoro, spesso autorevolmente presente con propri esponenti negli organismi accademici, con ottimi risultati d corrispondenza tra i contenuti dei corsi di laurea e le effettive necessità del mercato.

Chi scrive ne ha verificato personalmente i benefici risultati nel Regno Unito, in Germania e in Norvegia durante le visite studio organizzate dall’Unione Europea per addetti ai lavori e avendo fatto parte per alcuni anni del Comitato d’indirizzo dell’Ateneo di Palermo, istituito durante la prima riforma dell’Università avviata dopo il Processo di Bologna e il lancio delle lauree triennali; il confronto tra Accademia, organizzazioni produttive, Ordini professionali e organizzazioni sindacali diede luogo a sinergie e all’individuazione di corsi laurea rispondenti alla realtà, troppo frettolosamente interrotte dalle successive riforme “nuove” e “nuovissime” del Governo Berlusconi.

Risulta chiaro che, attraversando processi virtuosi di cui l’ente locale sia promotore e regista attento e consapevole, nonché soggetto convocatore delle altre parti in questione, i giovani che ne faranno esperienza acquisteranno due specifiche consapevolezza: l’essere una risorsa strategica per il territorio in cui sono nati e la responsabilità di prepararsi con profitto (riconosciuto e premiato) ad integrarvisi perché portatori di competenze realmente utili per lo sviluppo locale.

E’ questa l’unica strada per ridurre gli sbandamenti, gli abbandoni, il senso di frustrazione e di disorientamento che connotano la maggior parte dei laureati palermitani, incubo da cui i più abbienti sfuggono andando a perfezionarsi altrove, mentre gli altri, i molti altri, avviliscono le proprie qualità in lavori sottopagati e in nero, giungendo alla fatidica soglia dei quarantanni svuotati di ogni energia e privi di ogni esperienza curriculare adeguata ad un corretto inserimento occupazionale. E ciò in un mercato del lavoro che li considera ormai troppo anziani per investire su di essi e troppo giovani per un pensionamento che sarà loro consentito non prima di altri trenta anni.

Dalla breve e succinta analisi del fenomeno dell’emergenza giovanile e della conseguente disoccupazione (che per la Sicilia e Palermo è un dato strutturale, affatto dipendente dalla crisi attuale) appare evidente che tutto ciò accade perché competenze istituzionali che dovrebbero incontrarsi e completarsi, di fatto si ignorano se non addirittura, si ostacolano reciprocamente.

Ne emerge una tripartizione dell’universo giovanile palermitano: una minima parte che si salva – avendo le risorse o il coraggio di andare incontro al futuro, pur senza mezzi – andando via prima che sia troppo tardi, una parte cospicua che si rassegna e – fenomeno in crescita tra le giovani donne – rinunzia alla ricerca del lavoro, una parte mediana che vegeta in attesa di interventi miracolistici, in passato alimentati da una classe politica responsabile davanti a Dio e agli uomini (e prima o poi ai giudici) di aver distrutto il carattere e il futuro di due generazioni di giovani palermitani, oggi aggrediti da un potente analfabetismo di ritorno e in situazione di fortissimo ritardo culturale, linguistico nonché di consapevolezza sociale rispetto ai coetanei delle altre regioni d’Europa.

Appare opportuno dunque, prima di evocare fantomatici Assessorati, rutilanti Informagiovani (peraltro passati di moda da oltre venti anni) o nuove Agenzie di qualsivoglia natura, molto appetiti da ambienti vicini a tutte le forze politiche, che si abbia il coraggio far funzionare le istituzioni locali che hanno il dovere di garantire il diritto allo studio, alla formazione e all’avvio al lavoro, come costituzionalmente previsto. Si investa piuttosto in processi di internazionalizzatone nel corso della formazione dei giovani, in scambi interculturali, in esperienze durature e pregnanti in culture e società da cui abbiamo molto da imparare e tanto da proporre, utilizzando le cospicue e mai considerate risorse di quell’Europa che da Palermo abbiamo sempre e solo percepito come una “mucca da mungere” e non come una straordinaria opportunità di crescita e di confronto, smettendo, una volta per tutte, di sentirci il “sale della terra”.

Sotto tale profilo, pur essendo tra i Paesi fondatori dell’Unione, abbiamo molto da imparare da quelli che più recentemente vi sono entrati ed i cui esponenti che si occupano di giovani troviamo costantemente presenti, con una perfetta padronanza della lingua inglese, nelle migliaia di laboratori da Lisbona a Oslo e da Madrid a Tallin, in cui in questo momento si sta costruendo il futuro di giovani generazioni che non sapranno mai cosa significhino le drammatiche parole “precariato” e “stabilizzazione”.

 

Loris Sanlorenzo

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