Giornalismo alla cinese

L’uccisione di un reporter da parte della polizia e il giro di vite contro la stampa mostrano che la Cina ha fatto un passo indietro

 

Mentre la Cina viene elogiata nei vertici internazionali, corteggiata dai governi e dagli imprenditori ipnotizzati dal “mercato del secolo”, si diffondono notizie che non vorremmo mai leggere. Un giornalista è morto il 2 febbraio, per le ferite che i poliziotti, irritati dalla pubblicazione di un  articolo sull’imposizione di tasse locali arbitrarie, gli avevano inferto due mesi prima nella sua città di Taizhou (provincia costiera dello Zhejiang). Direttore di Taizhou Wanbao, Wu Xianghu non è il primo cittadino cinese a morire sotto i colpi degli agenti. I pestaggi a morte della polizia sono una pratica diffusa nella Cina di oggi.

 

La morte di Wu Xianghu rivela un clima inquietante. La stampa, ma anche la nascente società civile – avvocati, militanti di associazioni, ong – sono il bersaglio da circa un anno di un irrigidimento del regime di Pechino.

 

Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli arresti e le condanne di giornalisti. Le testate rappresentative di una stampa nuova, caustica e coraggiosa, al servizio di un pubblico sempre più esigente, sono state chiuse o richiamate all’ordine. La stampa cinese vive un brutto momento. La nuova generazione di giornalisti è sotto shock.  Negli ultimi dieci anni il mercato, la concorrenza e la caccia ai lettori avevano trasformato i media cinesi. Coprivano temi di ampio respiro in modo brillante, e molti reportage erano su tematiche sociali. Le loro critiche erano spesso tollerate dalla parte illuminata della direzione del Partito comunista cinese (Pcc), consapevole che la stampa doveva fare la sua parte per “risolvere i problemi”, davvero numerosi, che investono il gigante impegnato nella sua fenomenale mutazione. Una benevolenza che oggi non c’è più.

 

Ora la priorità del Pcc non è “risolvere i problemi”, ma nasconderli all’opinione pubblica.  Il paese cova forti tensioni. Manifestazioni e proteste di contadini e operai, vittime di un “miracolo” che comporta grandi disuguaglianze, rendono paranoico il regime.

 

Un silenzio assordante

Dove sono allora le ricadute politiche del “miracolo economico” che gli alleati di Pechino avevano auspicato e promesso? Bisogna dirlo senza mezzi termini: non ci sono progressi. Siamo anzi in una fase regressiva. L’occidente tace perché non vuole mettersi contro il Pcc. I cittadini cinesi, coraggiosi e onesti, potrebbero anche ricordarsene.

 

 

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L’editoriale di Le monde
L’articolo di Bruno Philip di Le monde

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