«Un fulmine a ciel sereno». La crisi di carta, come l’hanno ironicamente ribattezzata i poligrafici palermitani del Giornale di Sicilia ispirandosi a una famosa serie televisiva, li ha proprio colti di sorpresa. «Ci hanno prospettato una programmazione allucinante, dichiarando 31 esuberi su 43 poligrafici. Una situazione tragica», è lo sfogo di uno di quei 43 tecnici che da anni, ormai, cura la grafica di un giornale sempre più lontano dai fasti del passato e da una storia lunga più di 150 anni. Si riuniscono fra loro, intanto, i poligrafici, si ritrovano nelle assemblee, nelle riunioni, si confrontano, si sostengono, tra le mura della storica sede di via Lincoln. Perché oltre questo c’è solo l’attesa di una nuova data, di una nuova comunicazione. Martedì 6 agosto ci sarà un incontro con la Regione, mentre il giorno immediatamente dopo ce ne sarà uno con sindacati ed rsu all’ispettorato del lavoro, inizialmente previsto per oggi, ma che i tecnici stessi hanno chiesto di posticipare successivamente a quello del 6. Ma c’è poco da stare allegri.
«Siamo tutti in una situazione di sbando più totale», considerando soprattutto che molti, se non tutti, non si aspettavano un’estate del genere forti di quel contratto di solidarietà che sarebbe scaduto solo a luglio del prossimo anno. Com’è che si è arrivati a questo? Per rispondere è necessario fare un passo indietro. Almeno fino al 2017, anno in cui lo storico quotidiano, il primo in Sicilia per importanza e diffusione, si fonde con la Gazzetta del Sud, quotidiano messinese che copre il Mezzogiorno. Una fusione che, almeno all’inizio e almeno ufficialmente, avrebbe puntato all’ulteriore sviluppo dei due gruppi editoriali. Vale a dire della società Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica Spa, divenuta da quel 2017 proprietà della Società Editrice Siciliana di Messina (Ses) per il 51 per cento. Il controllo, quindi, passa ai peloritani, malgrado Antonio Ardizzone continui a rimanere alla testa del giornale palermitano, entrando anche nel direttivo della società. Un passaggio, questo, però mai avvenuto. Un accordo, siglato nero su bianco, che di fatto ha ceduto buona parte del Giornale di Sicilia a uno dei suoi storici nemici, che lo ha a poco a poco fagocitato. Fino a oggi.
Spariscono, dalla prossima settimana, le pagine della Sicilia orientale: chiudono infatti le redazioni di Messina, Catania, Ragusa e Siracusa, con buona pace di tutti quei colleghi «che resteranno senza penna e senza giornale», per usare le parole del segretario regionale dell’Assostampa Sicilia Roberto Ginex. Un colpo di spugna per cancellare anni di storia e mettere l’ennesimo bavaglio a una delle voci più importanti dell’informazione. Nella sede palermitana di via Lincoln da giugno ormai non si arresta la fibrillazione, tra incontri e scioperi che, a modo loro, si aggiungono agli appelli di sindacati e colleghi. «Davanti ai numeri si decide di chiudere – scrive Ginex nella sua ultima nota sulla vicenda -. Nel frattempo, però restano i giornalisti assunti e che nelle loro città hanno le loro famiglie e le loro vite, collaboratori che con grande passione, spirito di sacrificio e abnegazione, e spesso a pochi euro, hanno lavorato per un giornale al quale hanno legato appunto le loro vite e le loro già penose entrate». Per avere cosa in cambio, poi? Nemmeno il lusso di sapere che ne sarà di loro. Visto che la direzione ha comunicato le recenti novità al Cdr del Giornale di Sicilia, tagliando però fuori dipendenti e tecnici.
«A noi, senza diritti e senza tutele, nessuna ha detto nulla – spiega sui social la giornalista Giada Drocker, collaboratrice da Ragusa -. Spero sempre possa esserci uno spiraglio che ci permetta di fare quello che sappiamo fare: i giornalisti. Con serietà e passione. Magari c’è un piano “B”». Intanto si chiude la porta, in barba al dovere di raccontare. Quello che ha fatto andare avanti tutti malgrado l’assenza di tutele, di contratti seri, di banali quanto doverosi incoraggiamenti. Fantasmi loro, che hanno raccontato Palermo e le altre città, e fantasmi quelli che stavano già dietro le quinte del giornale e che questo rende di fatto solo più invisibili, se non fosse per uno striscione appeso in via Lincoln e la necessità di far sentire la propria voce. Quella di chi da tempo ormai dichiara di sentirsi «con le spalle al muro» di fronte ai pochi, pochissimi margini di trattativa con l’azienda, che sembra quasi intenzionata a «produrre un giornale a costo zero». Impotenza e frustrazione hanno, per ora, la meglio, specie di fronte a una casa «smembrata all’interno e con le porte serrate».
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