«Le amiche di mia figlia hanno parlato solo. Se lo avessero fatto prima, forse, mia figlia sarebbe ancora viva». È con queste parole dure che Vera Squadrito comincia, dalla fine, il racconto dell’omicidio di sua figlia Giordana, uccisa a 20 anni dal suo ex fidanzato con 48 coltellate. Lo fa all’indomani della giornata internazionale della donna, durante la conferenza 8 marzo non c’è nulla per cui festeggiare, organizzata nell’aula magna dell’istituto statale Lucia Mangano, a Catania. Davanti alla donna c’è una platea di decine di ragazzi e ragazze. Accanto a lei siede Giovanna Zizzo, altra madre che condivide lo stesso dolore: la morte della figlia per mano di un uomo. In questo caso, a uccidere Laura Russo è stato suo padre Roberto.
«Giordana era cambiata. A lui non poteva e non riusciva mai a dire di no e giustificava ogni comportamento che credeva dettato da un sentimento d’amore. Era evidente per tutti che non si trattava di questo, ma non per Giordana». La signora Vera si sofferma a lungo a descrivere quella relazione malata che, lentamente, aveva modificato il carattere e gli atteggiamenti della figlia. Morta per mano del suo ex fidanzato, Luca Priolo, la notte del 6 ottobre 2015 verrà ritrovata cadavere l’indomani all’interno della propria macchina. Mesi prima, la 20enne aveva denunciato quell’uomo per stalking ma il suo coraggio non è servito a salvarle la vita. Priolo, dopo due anni di processo, è stato condannato in primo grado a 30 anni di carcere. «Ciò che mi dà forza è fare in modo che mia figlia sia sempre viva attraverso le mie parole», conclude la donna.
«Hanno ucciso le nostre figlie, ma noi lottiamo perché possano continuare a vivere attraverso la nostra voce», le fa eco Giovanna Zizzo, la madre di Laura Russo. Era la notte del 22 agosto 2014 quando, all’interno della loro casa di San Giovanni La Punta, il marito Roberto uccise una delle loro figlie. La più grande, Marika, si salvò solo grazie all’intervento degli altri due fratelli che, svegliati dalle grida d’aiuto delle bambine, impedirono anche che l’uomo ponesse fine alla propria vita.
Otto marzo non c’è nulla per cui festeggiare è lo slogan della conferenza che si è svolta il 9 marzo. Una data non casuale, all’indomani della giornata internazionale della donna, per puntualizzare che non c’è proprio nulla da festeggiare quando un giorno su tre una donna viene uccisa per mano di uomini che dicevano di amarle. «Il silenzio uccide e le nostre figlie sono morte anche per questo – dicono insieme le due madri – La sola cosa utile da fare è raccontare le loro storie, non solo perché le vittime non vengano dimenticate ma, soprattutto, per sollecitare altre donne a denunciare e chiedere aiuto al primo sentore di pericolo».
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