Giarre, è morta Sabrina la zingara Da vent’anni un fantasma per le istituzioni

L’hanno trovata come un crocifisso, due giorni dopo Natale. Le braccia spalancate, il corpo riverso sul letto, le gambe poggiate a terra, sul pavimento della stanza di pochi metri quadrati dove viveva. Sabrina a Giarre la conoscevano tutti. Era «la zingara». Veniva dal Kosovo, ma da quando ho memoria la ricordo seduta sui gradini d’ingresso della chiesa del Duomo o tra le macchine al semaforo della piazza principale ad elemosinare qualche spicciolo, una sigaretta o un caffè, trascinandosi dietro un cartone logoro dove sedersi.

Fumava ad un ritmo degno di Camilleri, una bionda dietro l’altra. Smetteva solo per chiedere qualche euro ed aggiungere, il più delle volte, «che Dio ti benedica». Adesso che è morta, nella notte tra mercoledì e giovedì, forse d’infarto, qualcuno si chiede a quale dio facesse riferimento. «Era musulmana», sussurra il sacerdote. «Ma aveva il crocifisso in stanza e anche qualche altra immagine sacra», replicano i pochi che l’hanno assistita in questi anni. Tra i funerali e l’anonimo addio, probabilmente si sceglierà una messa in suffragio, per salvaguardare la pietà umana e il sonno di tutti.

Sabrina soffriva di cuore e doveva essere operata. Ma chi non possiede documenti non ha diritto di entrare in un ospedale italiano. A qualcuno le porte sono sbattute in faccia. Per lei il divieto d’ingresso si è nascosto nelle paludi della burocrazia. «L’operazione è delicata, serve qualcuno che si prenda per iscritto la responsabilità», aveva detto anni fa il chirurgo al volontario della Caritas che era andato a chiedere un intervento. Come se Sabrina fosse incapace di intendere e di volere. No, Sabrina era semplicemente sola. Nessuno poteva prendersi la responsabilità di mettere una firma per decidere del suo futuro. Nessuno se non lei. Ma lei non è mai esistita per le istituzioni, il suo nome su un foglio di carta non c’è mai stato. O forse sì, in una carta d’identità vecchia di vent’anni che Giovanni, nonno e volontario della Caritas, conserva ancora in un cassetto.

Perché anche i fantasmi hanno un passato di vita “normale”. Nessuno sceglie la strada volontariamente. «Quando è arrivata aveva trovato lavoro a Catania – racconta Giovanni – poi ha conosciuto un uomo violento e che beveva troppo. Le cose andarono male e la questura le diede il foglio di espulsione». Da quel momento Sabrina ha smesso di esistere per le autorità italiane. Nessun documento, nessun timbro a certificarne l’esistenza. Aveva un’età indefinita, anche se quel vecchio pezzo di carta le assegnava meno di sessant’anni. Sabrina era un fantasma a cui offrire un caffè, una sigaretta, una bottiglia di Coca Cola o un panino. Ma i fantasmi non hanno dimora. A pagare l’affitto della stanza dove è morta ci ha pensato sempre la Caritas. Mentre il Comune di Giarre, seppur sollecitato, non le ha mai concesso un alloggio. Adesso che è morta, l’amministrazione penserà alla bara e alla sepoltura e Sabrina tornerà ad esistere anche per quell’istituzione che non ha mai voluto sapere nulla di lei.

[Foto di Jack Dena]

Salvo Catalano

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