«Siamo soddisfatti per una sentenza equilibrata che rende giustizia a un imprenditore coraggioso». Lui è Tonino Torrisi e a parlare è l’avvocato Gianfranco Li Destri. Dopo la condanna con il rito abbreviato a cinque anni per Roberto Bonaccorsi, uomo considerato anche vicino al clan Santapaola-Ercolano, adesso sono stati condannati per estorsione aggravata dal metodo mafioso anche il 28enne Tiziano Russo e il 54enne Francesco Messina. Sei anni e dieci mesi di reclusione il primo, un mese in meno il secondo. Entrambi, inoltre, sono anche stati condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili: la vittima Tonino Torrisi, il Comune di Giarre e l’Asaec, l’associazione antiestorsione di Catania Libero Grassi.
«Un importante successo giudiziario che premia soprattutto chi ha deciso di sporgere denuncia – commenta a MeridioNews il presidente di Asaec Nicola Grassi – Una conferma del fatto che denunciare conviene sempre sia dal punto di via sociale che economico». L’associazione antiestorsione, che ha deciso di donare il ricavato del risarcimento in favore di minori svantaggiati, ha accompagnato la vittima durante tutto l’iter del processo. «È stato un uomo coraggioso – afferma il legale che lo assiste – perché in un contesto di radicata omertà, ha scelto di denunciare le gravi violenze e le pesanti intimidazioni che ha subito». È l’ottobre del 2018 quando l’imprenditore giarrese è vittima di un pestaggio: Russo è accusato di essere l’esecutore materiale, Messina di avere spalleggiato il più giovane. Il 28enne si trova ai domiciliari quando convoca, tramite un messaggio inviato nella chat di Facebook dopo avergli richiesto l’amicizia, Torrisi a casa con la scusa di chiedergli un favore.
Arrivato sotto i palazzoni del quartiere Il ghiaccio, vicino alle case popolari di via Trieste, la vittima si trova davanti sia Russo che il 54enne che lo accolgono con pugni e schiaffi. «Da ora in poi mi devi portare mille euro al mese, 50mila euro di arretrati e il due per cento delle costruzioni che stai facendo». Questa la richiesta estorsiva per Torrisi da parte dei due che, secondo la procura, hanno agito in quanto appartenenti al clan Laudani. Durante il dibattimento, Messina ha sostenuto di trovarsi lì per caso, mentre Russo si è sempre difeso sostenendo che il pestaggio fosse riconducibile a questioni personali: in particolare, ha fatto riferimento a un messaggio che Torrisi ha mandato di notte a sua moglie su Messenger. Due battute sulla difficoltà a prendere sonno scambiate oltre un mese prima.
Qualche giorno dopo, è Roberto Bonaccorsi a contattare al telefono l’imprenditore, che conosce, per proporsi come mediatore. Dalla proposta alla minaccia il passo è breve. «In tutti questi anni ti sei fatto i cazzi tuoi, non hai portato soldi a nessuno e quindi ora si cambia». Per convincere Torrisi a pagare, Bonaccorsi gli prospetta anche cosa sarebbe accaduto se si fosse rifiutato: lo avrebbero «ammazzato di botte ogni giorno». Torrisi, che oltre a essere costruttore è anche titolare di esercizi commerciali, consegna una prima rata del pizzo da duemila euro, ma è già sotto protezione dei carabinieri. I militari, a cui l’uomo si era rivolto per sporgere denuncia, da lì a poco arrestano i tre imputati. Prendendosi tutta la responsabilità della vicenda – che per l’avvocato che lo difende sarebbe stata non un’estorsione ma, tutt’al più, una truffa – durante le dichiarazioni spontanee rilasciate nell’udienza dell’ottobre del 2019, Bonaccorsi ha chiesto «scusa a Tonino Torrisi nell’amicizia che avevamo». Un presunto ravvedimento funzionale per chiedere una sorta di bonaria compensazione (duemila euro per i danni subiti in cambio della costituzione di parte civile) subito respinta dal legale della vittima.
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