Giallo pianisti all’Ars, la versione del M5s a Miccichè «Voto doppio non voluto, il tesserino non funzionava»

Nel giorno in cui il Movimento 5 stelle ha chiamato a raccolta, sotto gli ombrelloni e non, i propri attivisti per proporre la prima deroga al vincolo del secondo mandato – per il momento soltanto per i consiglieri comunali – e aprire le porte alle alleanze con gli altri partiti, in Sicilia è venuta fuori la ricostruzione di ciò che è accaduto la scorsa settimana all’Ars, al momento della votazione della norma che avrebbe consentito al dirigente Tuccio D’Urso di continuare a lavorare al dipartimento all’Energia, anziché andare in pensione. 

Al centro dell’attenzione era finito il nome del deputato Francesco Cappello tra quelli che hanno partecipato al voto. L’esponente cinquestelle, nel momento in cui è stata bocciata la norma, non era presente in aula. A fare scoppiare il caso era stato un intervento di Elena Pagana, ex M5s e oggi Attiva Sicilia. La deputata ennese aveva esplicitamente chiesto al presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè di fare chiarezza sulla presunta furbata partita tra i banchi dei grillini, dal principio contrari alla proroga a D’Urso. Ad appesantire il clima è stato il silenzio dei protagonisti: nessuna smentità né chiarimenti sui social. Un fatto che, per un partito che del filo diretto con l’elettorato ha fatto la sua forza, ha lasciato perplesso più di uno. 

Tuttavia a otto giorni dai fatti, la versione ufficiale – accolta anche dagli uffici di presidenza – è che quella dei pianisti a sala d’Ercole è soltanto una leggenda. A sostenerlo sono stati i diretti interessati: Giovanni Di Caro e Stefania Campo. «Non abbiamo avuto alcuna intenzione di imbrogliare – assicura Di Caro contattato da MeridioNews – È nato tutto da un messaggio di errore comparso nella postazione della collega Campo. A quel punto, convinto che il suo voto sarebbe stato perso, le ho suggerito di usare il tesserino di Cappello, che era rimasto inserito anche se lui era in congedo da un po’». Verbale alla mano, però, alla fine il sistema ha conteggiato sia il voto di Cappello che quello di Campo. «Non lo sapevamo, il display diceva di estrarre e capovolgere la tessera, è successo tutto in pochi attimi. E non abbiamo avuto modo di spiegarlo sin da subito al presidente dell’Assemblea», aggiunge Di Caro. 

La spiegazione è stata accolta da Gianfranco Miccichè. «Non posso permettermi di dubitare della buona fede dei due deputati – commenta l’esponente di Forza Italia – Io ho fatto tutti gli accertamenti necessari, ma di fronte a questa spiegazione non posso che accettarla. Non ci sono elementi per sostenere che sia stato un atto volontario». Per Miccichè sulla questione si è alzato un polverone eccessivo. «Votare con il tesserino di un collega non dovrebbe mai avvenire, ma dovete considerare – continua – che in questa fase emergenziale legata al Covid-19 anche le procedure di voto sono state un po’ cambiate e ciò ha potuto generare anche il sospetto di malfunzionamenti del sistema. In ogni caso – sottolinea – l’Ars non è come il parlamento nazionale dove siedono centinaia di persone e finché non hanno chiesto l’impronta digitale votare per più persone era facile. Da noi il controllo è più semplice, perché siamo di meno».

Miccichè si sofferma poi sul tema del contendere: la bocciatura della proroga nei confronti di D’Urso. Il voto contrario – con un divario di preferenze che, di fatto, ha reso ininfluente l’affaire Cappello – ha portato al centro del dibattito il tema dell’età dei dipendenti regionali e l’esigenza di un cambio generazionale. «Nulla contro la professionalità di D’Urso – commenta Miccichè, che non ha preso parte alla votazione – ma non credo che ragionare su proroghe di questo tipo possa essere la soluzione. Anzi, l’intera vicenda dovrebbe fare riflettere tutti sul fatto che abbiamo un organico in là con gli anni. Oggi – prosegue il presidente dell’Ars – l’età media è di 58 anni e il più giovane ne ha 53». L’esponente forzista da sempre è sostenitore di un nuovo piano di assunzioni. «La Regione non assume persone dalla fine degli anni Novanta, abbiamo un personale formatosi nell’era analogica mentre oggi è tutto digitale. Non dico nulla di strano, ma purtroppo continuiamo a essere vittime della retorica sugli sprechi. Mentre qui parliamo di una necessità concreta».

Simone Olivelli

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