Gesualdo Bufalino: scrittore poco amato perché poco “siciliano”

I romanzi della maturità (“Calende greche“, “Qui pro quo“, “II Guerrin Meschino“, “Tommaso e il fotografo cieco“), saggi, aforismi e scritti sparsi (fin qui mai pubblicati), ma anche rari reperti giovanili, una scelta di lettere e alcune interviste: il volume curato da Francesca Caputo e edito da Bompiani, presentato a Comiso il 27 settembre, offre l’occasione per riflettere sull’attualità, ma anche sulla complessità dell’opera bufaliniana.

Nunzio Zago, ordinario di letteratura italiana all’Università di Catania e amico intimo, nonché collaboratore di Bufalino, ricorda come «non manchino mai giovani disposti a lasciarsi contagiare e trascinare dalla bellezza e dalla verità della scrittura di Bufalino». Proprio in questi tempi in cui ciò che conta «è un sapere simultaneo con tutti i linguaggi e le conoscenze, l’idea stessa di letteratura si è modificata, soppiantata dai paradigmi dell’età globale e la civiltà della parola sembra per alcuni finita uno scrittore come Bufalino, con la sua onnivora curiosità intellettuale e ibridazione, può aiutare ad integrarci e a rivelarci una vitalità capace di resistere alla piattezza omologata a cui la modernità sembra consegnata».

Anche la curatrice dell’opera Francesca Caputo si sofferma sulla seduttività della scrittura dell’autore de Le Menzogne della notte: «Come ho avuto modo di verificare all’università, Bufalino esercita un fascino sui giovani perché, dopo una prima fatica, questi rimangono catturati”. Caputo ha poi sottolineato come ci sia una circolarità tra la prima e la seconda produzione e che ”leggendo Bufalino, è come se ci issassimo sulle spalle di un padre che ci spalanca, dipingendole con le parole, visioni di luoghi, storia e storie del passato e del presente per guardare meglio fuori e dentro di noi».

Matteo Collura, che ai siciliani celebri ha dedicato sapidi ritratti, ha una teoria riguardo al rapporto di odio-amore tra il professore di Comiso e il lettore, che passa anche attraverso l’apparente difficoltà della scrittura: «La disattenzione del pubblico è dovuta al fatto che Bufalino è il meno siciliano degli scrittori siciliani perché il lettore medio è abituato a una Sicilia più folkloristica, a un certo cliché».

Particolare il ricordo di Vittorio Sgarbi, neosindaco di Salemi. Con l’intelligenza, la crudezza e l’animosità che lo contraddistinguono ha trasformato in uno show il suo intervento, ora commuovendo, ora facendo sorridere. Il critico ha messo in luce come Bufalino fosse particolarmente innamorato dei titoli cosicché anche «Nel titolare i suoi racconti e i capitoli c’è già un immenso romanzo». Bufalino ha «un estro formidabile con una scrittura ricca e fortemente barocca che al potere di una lussureggiante foresta riesce ad alternare la sintesi di un telegramma così da racchiudere in un titolo l’entelechia di un romanzo». E non manca il confronto con chi, insieme a Elvira Sellerio, incoraggiò Bufalino alla letteratura: «La figura di Leonardo Sciascia resiste di più perché questi si era sporcato le mani anche con la politica. C’era in lui la letteratura civile. Bufalino, invece, pur non mancando di fare rivelazioni parapolitiche, ne rimane estraneo non per vigliaccheria ma per visione, perché convinto che la letteratura sia l’unico mondo possibile e perché la realtà disturba e distrae. A suo modo di vedere, la comprensione è dentro le parole scritte».

Giacomo Coniglione

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