Genovese, l’ombra riciclaggio sull’impero finanziario Conti cifrati, valigie piene di soldi e società off-shore

Di padre in figlio, di generazione in generazione. Prima ancora di essere una storia di potere finanziario, quella dei Genovese è la storia di una famiglia unita. Perlomeno stando a quanto sostenuto dalla procura di Messina, che ha ottenuto dal tribunale il sequestro di un patrimonio da cento milioni di euro. Per gli inquirenti, infatti, sarebbero chiare le responsabilità dei singoli membri nell’avere tentato di tutelare l’immensa ricchezza tramite pratiche illecite. L’inchiesta vede coinvolti oltre a Francantonio Genovese – l’ex deputato del Pd poi transitato in Forza Italia, e l’anno scorso condannato a undici anni per lo scandalo Formazione – anche il figlio Luigi, neoeletto all’Ars con più di 17milla voti, la moglie Chiara Schirò, e poi ancora la sorella Rosalia Genovese, i cognati Elena Schirò e Franco Rinaldi (anche lui ex deputato), e infine il nipote Marco Lampuri. Tutti sono accusati di avere avuto un ruolo nel sistema messo in atto per riciclare i fiumi di denaro custoditi all’estero e frutto, secondo i magistrati, di un’evasione consolidatasi negli anni. 

Per risalire alla sorgente bisogna però percorrere l’albero genealogico dei Genovese, fino a Luigi Genovese. Non il rampollo da poco eletto all’Assemblea regionale siciliana, ma il nonno di quest’ultimo. Classe 1925 e deceduto due anni fa, è stato tra i più potenti senatori democristiani riuscendo a trovare posto negli scranni di Palazzo Madama ininterrottamente dal 1972 al 1994. È lui che, negli anni Settanta, per primo avrebbe portato fondi in Svizzera: «Mio padre era un socio fondatore di una delle aziende più importanti nel Messinese», dice Francantonio Genovese ai magistrati, nel 2015, quando si trova in carcere per il caso Formazione. Per poi esplicitare il proprio riferimento: «Tourist Ferryboat o Caronte&Tourist», specifica. La prima è la società di trasporti marittimi che nel 2003, con la fusione con la calabrese Caronte, dà vita alla seconda.

Il tesoretto elvetico – depositato alla Credit Suisse di Lugano, su un conto cifrato denominato Ret e ritenuto riconducibile al senatore, a cui successivamente è affiancato il conto Sperimentare Ret, considerato riferibile al figlio Francantonio – a fine 2004 ammontava a oltre 17 milioni 641mila euro. Pochi mesi dopo, Francantonio avrebbe sottoscritto una polizza assicurativa alla Credit Suisse Life Bermuda Ltd, con un premio assicurativo che sfiora i 16 milioni e mezzo e indicando come beneficiaria la moglie. Per gli inquirenti è questo il primo passo per il riciclaggio del denaro del padre. I soldi sarebbero stati man mano prelevati e portati in Italia: valigie stracolme di banconote e trasportate da contrabbandieri che, per stessa ammissione di Genovese, oltrepassavano il confine e incontravano il politico in luoghi scelti per l’occasione. «Per esempio a Milano avveniva in albergo», rivela l’ex parlamentare agli inquirenti ad aprile 2015. Le modalità con cui il denaro veniva ceduto ricordano i film di spionaggio: «Non li conoscevo, sono soggetti diversi – racconta – Si presentavano con una parola convenzionale. In linea di massima si avvicinavano, io ero lì che passeggiavo, si avvicinavano e mi chiedevano».

Quando i magistrati gli chiedono i motivi all’origine di questi ingenti prelievi, Genovese senza esitazione risponde che servivano per «esigenze familiari e personali». A quel punto i magistrati gli fanno notare che i prelievi sono stati di svariati milioni, ma il politico replica elencando gli impegni affrontati: «Ristoranti, matrimoni, regali. Credo di avere ricevuto annualmente almeno cinquanta inviti, escluse le partecipazioni. Poi vestiti, regali, gioielli, mobili antichi, quadri, potrei stare qui all’infinito». Tutto questo fino al 2013, quando Genovese e la moglie aprono la Palmarich Investments S.A, società panamense che si appoggia alla banca monegasca Julius Bear. Sui conti della Palmarich vengono fatti confluire i soldi precedentemente custoditi in Svizzera. Una scelta che per i magistrati rappresenta il secondo passaggio fondamentale nel processo di riciclaggio. Ma Genovese si difende dicendo di essere stato costretto a cambiare istituto bancario, dopo che era diventato inviso in terra elvetica. «Dovevo chiudere il conto – sottolinea il politico – perché la Credit Suisse per l’immagine non voleva nessun tipo di problema». Genovese, però, sposta il denaro prima che il caso Formazione finisse sui giornali, e dunque la banca svizzera non avrebbe potuto sapere dell’inchiesta.

La tappa nel Principato di Monaco precede il rientro – più deciso dei precedenti – dei capitali in Italia. Dalla banca monegasca, infatti, i coniugi Genovese avrebbero iniziato a fare pervenire bonifici nei conti aperti in Italia. Parte di essi sarebbe stata usata per una regolarizzazione fiscale ristretta all’annualità 2013 e per pagare altre sanzioni elevate dall’Agenzia delle Entrate, il resto invece – secondo gli inquirenti – viene girato sui conti dei familiari e utilizzato per una serie di compravendite immobiliari. È a questo punto che entra in gioco, tra gli altri, il figlio Luigi. Il neodeputato sarebbe tra i principali beneficiari del trasferimento di fondi. «Genovese Francantonio si va spogliando di tutto», scrive il gip Salvatore Mastroeni. Il giudice torna più volte sul passaggio di consegne tra padre e figlio: «Dal nulla si staglia la figura di Genovese junior, che diventa consapevolmente ricchissimo, firmando atti e partecipando alle manovre del padre». Forza economica che porta il giudice a mettere in relazione le parole di Francantonio – «conducevo una vita dispendiosa e anche abbastanza generosa nei confronti degli altri, tenuto conto anche del mestiere che facevo» – con il recente impegno in politica del 21enne: «La circostanza della ricchezza improvvisa del genovese Luigi, il suo notorio ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza – avverte Mastroeni – danno la probabilità, sia pur per la visione cautelare di protezione dei beni e dei soldi dovuti allo Stato, che si verifichi la stessa attività dispendiosa».

Simone Olivelli

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