Errori nelle notifiche e il processo per disastro ambientale si impantana ulteriormente. Succede a Gela, dove a marzo 2016 l‘ex procuratrice Lucia Lotti aveva chiesto 22 rinvii a giudizio a carico di dirigenti della Raffineria e di EniMed (la consociata che si occupa delle ricerca e dell’estrazione degli idrocarburi). A distanza di un anno e mezzo dalla chiusura delle indagini, però, il giudice per le indagini preliminari non si è ancora espresso. La causa è un errore o meglio 22 errori di notifica nell’invio degli atti che hanno fatto tornare tutto il voluminoso carteggio (35 solo le pagine di contestazioni) ai pubblici ministeri. La nuova data di udienza preliminare è fissata per ottobre, quando dovranno essere nuovamente ridefinite le parti civili. Lotti aveva informato tra gli altri, come da prassi, sia il ministero dell’Ambiente che quello della Salute, che potrebbero dunque costituirsi come parti lese.
Ma il processo penale, al quale guardano con interesse le associazioni ambientaliste e in generale la cittadinanza, non è mai sembrato preoccupare più di tanto i vertici della multinazionale energetica. Nelle 2617 pagine di verbale dell’ultima assemblea Eni, risalente al 13 aprile, il cane a sei zampe come di consueto ha classificato i «contenziosi» nella parte dedicata ai bilanci, decidendo di non inserire le somme nel fondo rischi. Motivo? «Eni – si legge nel documento – è parte in procedimenti civili e amministrativi e in azioni legali collegati al normale svolgimento delle sue attività. Sulla base delle informazioni attualmente disponibili, tenuto conto dei fondi stanziati e rappresentando che in alcuni casi non è possibile una stima attendibile dell’onere eventuale, Eni – si sottolinea – ritiene che verosimilmente da tali procedimenti e azioni non deriveranno effetti negativi rilevanti».
Vale a dire che il cane a sei zampe è talmente sicuro di vincere che nel caso dei «procedimenti più significativi» non ha neanche «effettuato uno stanziamento al fondo rischi in quanto un esito sfavorevole è giudicato improbabile o l’entità dello stanziamento non è stimabile in modo attendibile». Tra questi vi è appunto il processo a Gela per disastro ambientale, gestione illecita di rifiuti e scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione.
Il procedimento penale, nella descrizione dell’Eni, «aveva inizialmente a oggetto l’accertamento del presunto inquinamento del sottosuolo derivante da perdite di prodotto da 14 serbatoi di stoccaggio della Raffineria di Gela non ancora dotati di doppio fondo, nonché fenomeni di contaminazione nelle aree marine costiere adiacenti lo stabilimento in ragione della mancata tenuta del sistema di barrieramento realizzato nell’ambito del procedimento di bonifica del sito. In occasione della chiusura delle indagini preliminari – ricorda il colosso petrolifero – la Procura della Repubblica di Gela ha riunito in questo procedimento altre indagini aventi a oggetto puntuali episodi inquinanti collegati all’esercizio di altri impianti della Raffineria di Gela e ad alcuni fenomeni di perdita di idrocarburi dalle condotte di pertinenza della società EniMed».
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