Dal 6 novembre 2014, quando venne firmato il protocollo d’intesa che doveva servire a riconvertire la Raffineria di Gela e a superare la stagnazione economica della città, sono passati poco più di due anni. E al consiglio comunale di ieri è tornata a vedersi una scena che in questo lasso di tempo si è riproposta più volte: un nutrito gruppo di lavoratori dell’indotto ha presidiato l’aula consiliare. I lavori sono stati di conseguenza sospesi.
Gli ex operai gelesi, quelli che sono rimasti e nel frattempo non sono riusciti a trovare trasferte lavorative in giro per l’Europa come capitato ad alcuni colleghi, hanno preso la parola per denunciare la condotta di Enimed, la consociata Eni che si occupa di ricerca ed estrazione di idrocarburi. Secondo gli accordi firmati a Roma due anni fa, Enimed a Gela avrebbe dovuto assorbire «382 risorse dirette», di cui «cento saranno utilizzate per progetti Enimed in Sicilia, 20 nel Centro Competenza di Gela e 262 per attività worldwide». Queste le promesse del 2014.
Ad oggi però, a fronte degli oltre duemila dipendenti del diretto e dell’indotto espulsi per la chiusura dello stabilimento, hanno trovato occupazione solo poche centinaia di unità. In più, a sentire gli operai, anche le imprese appaltatrici di Enimed si rivolgerebbero a manodopera esterna. Il sindaco Domenico Messinese ha provato a rassicurare gli animi. «I controlli li facciamo – ha detto – adesso valuteremo se le vostre accuse sono effettive. Abbiamo più volte scritto ufficialmente per avere un incontro con il premier Matteo Renzi».
Un altro punto controverso, sul quale puntavano soprattutto i sindacati specie del settore edile e metalmeccanico, era la costruzione della piattaforma petrolifera Prezioso K all’interno del progetto offshore ibleo. Ma alla fine Eni ha deciso di non realizzare la piattaforma, anche se la multinazionale continua a rassicurare sulla realizzazione degli impianti a gas. Ora i sindacati chiedono spiegazioni sul destino dei soldi risparmiati dalla mancata costruzione di Prezioso K, che ammonterebbero a circa mezzo miliardo di euro. La proposta sindacale è di spenderli in altri progetti sempre nel territorio di Gela.
Per questo motivo il consiglio di fabbrica e i sindacati confederali dei chimici e dell’energia, che lamentano ritardi anche nella costruzione della Green Refinery, si sono riuniti ieri mattina per deliberare un pacchetto di ore di sciopero da attuare se l’Eni non accetterà il confronto sugli assetti organizzativi e sul rispetto del protocollo d’intesa. La multinazionale dal canto suo ribadisce di essere in regola con i tempi annunciati e attende di conoscere il documento rivendicativo dei sindacati.
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