«Il M5s siciliano e quello gelese volevano solo tagliare teste. E il direttorio ha funzionato come un plotone di esecuzione». Non ci sta Domenico Messinese, il sindaco di Gela espulso dal M5s, e all’indomani della decisione convoca una conferenza stampa per ribaltare quelle che lui definisce «la falsità delle accuse». Il benservito è giunto dal gruppo siciliano prima della chiusura dell’anno. Un botto annunciato per il primo cittadino di Gela, che lo fa diventare il primo amministratore espulso dal movimento di Beppe Grillo. Neanche per Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma in contrasto da anni con l’ex comico genovese, s’era arrivato a tanto. Oltre le critiche più volte sostenute da ex assessori e consiglieri e parte degli attivisti locali, il M5s siciliano ha puntato il dito sulla mancata diminuzione dello stipendio e sul protocollo Eni.
«Nel programma elettorale la diminuzione dello stipendio non era prevista – dice Messinese -. Non ho firmato nulla in tal senso. La verità è che non ho voluto accettare il diktat imposto da alcuni e non ci stavo ad avere il Comune commissariato dal meetup». I malumori e le fazioni all’interno del M5S gelese serpeggiavano già da aprile 2015, all’indomani della candidatura di Messinese a sindaco. I suoi metodi e alcune linee programmatiche non andavano bene già allora ad alcuni attivisti pentastellati. Ma la campagna elettorale era un treno in corsa che nessuno, o quasi, era in grado di fermare. Così i tentativi costanti di riappacificazione non sono andati mai a buon fine. «Gli incontri erano in realtà atti di accusa – sostiene il primo cittadino gelese -. Alcuni deputati regionali, pur informati, non hanno mai preso posizione e preferivano concentrarsi su beghe da partito. E dunque, se ci lasciano l’autodeterminazione vuol dire che il sindaco ha potere decisionale». Un potere che Messinese rivendica in altre scelte che hanno scontentato la base. Come il rinnovo del contratto alla Tekra, la società campana che gestisce il servizio di raccolta differenziata e spesso al centro delle polemiche. «Per buttare fuori la Tekra avrei dovuto fare un atto illecito – è la teoria di Messinese -. Altri Comuni sono stati ripresi dalla Corte dei conti, io non li ho voluti imitare».
Sull’altro punto contestato dal M5s siciliano, cioè aver dato continuità al protocollo d’intesa, a rispondere è Simone Siciliano. Il vicesindaco è sempre stato visto come il vero tessitore delle politiche con Eni. «Si vadano a rivedere cosa diceva Di Maio in campagna elettorale a Gela. Diceva quel che diciamo noi, cioè che dialogare con Eni è giusto e che l’amministrazione deve dialogare con tutti – dice Siciliano -. Il nostro percorso era stato avallato dal Movimento regionale e nazionale». La richiesta di dimissioni che viene avanzata da molti, soprattutto sui social, non viene neanche presa in considerazione. La partita adesso si sposta in consiglio comunale, dove già l’esigua minoranza a 5stelle (5 consiglieri su 30) diventa per l’amministrazione una vera e propria corsa a ostacoli. Fedele alla linea della giunta Messinese rimane solamente Sara Cavallo, consigliera che si è finora dissociata dalle scelte del M5s gelese. Con l’eventuale richiesta di sfiducia che, complice la nuova legge elettorale, dovrà attendere altri 18 mesi. «Andremo avanti di atto in atto – risponde Messinese -. Finora devo dire che il consiglio comunale è stato responsabile e ha capito che i problemi della città devono essere risolti. I numeri non mi preoccupano, tanto finora la migliore opposizione alla giunta è venuta dai banchi a 5stelle».
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