«Cambiano le ditte ma le proteste rimangono uguali». Il commento amareggiato di Francesco Cacici, segretario Ugl di Gela per i metalmeccanici, giunge al sesto giorno di protesta dei lavoratori della Turco Costruzioni. Si tratta dell’ennesima ditta dell’indotto dell’ex Raffineria che si trova in crisi dopo la fine delle commesse da parte dell’Eni. Un segnale inequivocabile, che testimonia come il processo di riconversione degli impianti dell’ex stabilimento petrolchimico non è affatto indolore.
L’ultima prova in tal senso sono appunto i 36 licenziamenti annunciati negli scorsi giorni da parte dei vertici della società edile. Dopo l’incontro in prefettura di giovedì, ritenuto infruttuoso, i lavoratori hanno cominciato a presidiare gli ingressi dello stabilimento, alla ricerca di solidarietà da parte degli altri lavoratori rimasti. Tra il freddo e le costanti piogge di questi giorni, però, le risposte tardano ad arrivare. E ieri a tal proposito si è tenuta un’assemblea riguardante l’intero indotto, all’interno della saletta sindacale.
Tra le richieste avanzate dai confederali la ricollocazione degli operai che verranno tagliati dall’azienda edile. In totale sono dieci le società che sono subentrate agli appalti che per anni erano stati assegnati alla Turco Costruzioni e alla Edilponti e che potrebbero adesso scegliere di assorbire i lavoratori in esubero. Un’opzione che al momento appare però lontana. «La gente è stanca e ha il dente avvelenato – conferma Cacici -. Noi continuiamo a cercare la solidarietà tra lavoratori e a cercare di unificare le categorie di edili e metalmeccanici, ma come ha insegnato la vicenda della Smim (112 lavoratori che hanno ricevuto la lettere di licenziamento il giorno prima della Pasqua, ndr) non sempre ciò è possibile. L’impressione è che dopo la scomparsa dei metalmeccanici ora tocchi agli edili. Si cerca insomma di salvare il salvabile».
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