Gela, il ritorno degli stiddari: tutti i nomi dei 35 arrestati Mafia imprenditrice: dalla discoteca Malibù all’alimentare

Sono usciti dal carcere e hanno ripreso il loro posto di comando: Bruno Di Giacomo, 44enne detto Marlon Brando, e il fratello Giovanni, 47 anni, sono ritenuti i capi della Stidda a Gela. Ci sono loro al verice dell’organizzazione mafiosa che oggi ha subito un duro colpo con l’operazione Stella Cadente, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ed eseguita dalla locale squadra mobile. I due fratelli avrebbero comandato un esercito di «500 leoni», «500 persone armate» che a Gela, stando alle intercettazioni, erano pronte, in caso di necessità, ad aprire una nuova guerra di mafia con le famiglie di Cosa Nostra. 

Nel frattempo, però, la Stidda si è riorganizzata. Non solo con il tradizionale e ben articolato traffico di droga, ma soprattutto con attività imprenditoriali: la gestione della nota discoteca Malibù nella stagione 2015/2016, di alcune società attraverso prestanome, o ancora grazie all’imposizione di prodotti ad altre imprese. A differenza del passato, però, a Gela alcuni imprenditori hanno denunciato. Gli investigatori sottolineano che anche grazie alla loro collaborazione, sostenuta dall’associazione antiracket di Renzo Caponnetti, si è riusciti a disarticolare l’associazione. 

Sono 35 le misure cautelari scattate stamattina: 28 in carcere e 7 ai domiciliari. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti e detenzione illegale di armi. L’ordinanza è stata eseguita dai poliziotti del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Caltanissetta e del Commissariato di Gela, con il supporto del Reparto Prevenzione Crimine e di Unità cinofile di Palermo e Catania e delle Squadre Mobili di Catania, Siracusa, Chieti, L’Aquila, Brescia e Cosenza. Nelle stesse ore un’altra operazione contro la Stidda è stata eseguita in Nord Italia, con epicentro a Brescia.

«L’operazione – spiega il procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone – ha per oggetto il rientro a Gela di alcuni soggetti apicali della Stidda. Fortissima la loro capacità di penetrazione nel tessuto sociale ma anche economico. Agli stiddari  si rivolgevano anche degli imprenditori per risolvere i loro problemi. La Stidda operava come uno Stato nello Stato».

LE IMPRESE SEQUESTRATE
È stato disposto il sequestro preventivo di alcune aziende, il cui valore è ancora in fase di accertamento. Si tratta dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale della Cartaplastic srls e della Sweet Plastic srls, entrambe con sede legale a Gela, intestate a Laura Cosca (una 25enne di Gela finita oggi agli arresti domiciliari) e attive nel commercio di saponi e detersivi e ingrosso di altri prodotti nel settore alimentare. Sequestrata anche la società Malibù Indoor srls, che si è occupata d’intrattenimento nella discoteca Malibù di Gela tra 2015 e 2016, intestata in parte a Giuseppe D’Antoni, e gestita di fatto da Vincenzo Di Maggio per conto dei boss.

IL RITORNO DEI VECCHI STIDDARI
Le indagini sono partite nel 2014 dopo il ritorno in libertà dei fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo, dopo un lungo periodo di detenzione, durante il quale sarebbero stati mantenuti in carcere dallo zio Rocco Di Giacomo. Una volta ritornati in libertà, i due hanno ricostruito una fitta rete di contatti con affiliati vecchi e nuovi della stidda gelese, affiancando all’ala militare anche quella imprenditoriale. Attraverso prestanome sono diventati gestori di imprese attive nella distribuzione dei prodotti per la ristorazione e di prodotti alimentari, in quello delle serate in discoteca e nel settore immobiliare, finendo per penetrare stabilmente il tessuto economico legale. 

Gli imprenditori concorrenti venivano sottoposti a estorsione, attraverso l’imposizione dei prodotti per la ristorazione e alimentari a numerosi commercianti gelesi che erano costretti ad acquistare beni, talvolta a prezzi maggiorati e in altre occasioni in quantità maggiori rispetto al loro volere, per il solo fatto che erano commercializzati dal clan stiddaro. Chi non ci stava diventata vittima di attentati incendiari. Altro settore infiltrato è stato quello della costruzione, ristrutturazione e compravendita immobiliare, dove la stidda si era inserita attraverso società di comodo, intestate ad Alessandro Emanuele Pennata, e utili a ripulire il danaro sporco delle altre attività illecite.

I RUOLI
Tra gli arrestati, Vincenzo Di Maggio sarebbe stato l’autista e l’ambasciatore del boss Bruno Di Giacomo. A lui si sarebbero affidati il capomafia, il fratello Giovanni e lo storico stiddaro Filippo Scerra. A Di Maggio sarebbero state date le ambasciate da portare agli affiliati sul territorio e, soprattutto, avrebbe avuto in mano la gestione della discoteca Malibù. 

L’uomo si sarebbe occupato anche del traffico di droga insieme ad Alessandro Scilio e Gaetano Marino, attivi – insieme a Massimiliano Tomaselli – nel settore degli stupefacenti anche prima della scarcerazione dei fratelli Di Giacomo. Una volta liberi i capi, la stidda in poco tempo ha intessuto rapporti con importanti piazze siciliane dello spaccio come quella di Palermo, Catania e Vittoria, dove sono stati individuati alcuni fornitori e corrieri: Luciano Guzzardi, Gianluca Parisi, Giovanni Traina e Ajdini Mirian, ma anche con piazze di spaccio torinesi.

Giuseppe Alessandro Antonuccio, Giuseppe Antonuccio inteso pallina, Filippo Scerra, Emanuele Lauretta (classe 1983) sono accusati di aver contributo per nascondere droga e armi a disposizione del clan, nei covi di via Tucidide (dove nel luglio del 2016 furono rinvenuti 13 chili di hashish e marijuana e una pistola calibro 75), e di via dei Mille (dove, nel novembre dello stesso anno, furono trovati 52 chili di hashish, un chilo di cocaina e una pistola semiautomatica con matricola abrasa). Un altro covo a disposizione della stidda è stato scoperto in via Solferino, gestito da Giuseppe Nastasi.

Gli arrestati in carcere:
Di Giacomo Bruno, inteso “Marlon Brando”, gelese di 44 anni;
Di Giacomo Giovanni, gelese di 47 anni, già detenuto;
Antonuccio Giuseppe Alessandro, gelese di 39 anni, già agli arresti domiciliari;
Antonuccio Giuseppe inteso “Pallina”, gelese di 33 anni;
Ajdini Mirjan inteso “Emiliano o Puci”, albanese di 32 anni, già agli arresti domiciliari;
D’Antoni Luigi, gelese di 54 anni;
Di Giacomo Vincenzo, gelese di 52 anni, già detenuto in una casa di lavoro;
Di Giacomo Rocco, gelese di 63 anni;
Di Maggio Vincenzo, gelese di 30 anni;
Giaquinta Giuseppe, gelese di 28 anni;
Guzzardi Luciano, catanese di 55 anni;
Lauretta Emanuele, gelese di 35 anni, già detenuto;
Lauretta Emanuele, gelese di 41 anni;
Marchese Rosario, calatino da sempre vissuto a Gela di 33 anni, già detenuto;
Marino Gaetano, gelese di 35 anni;
Nastasi Giuseppe, gelese di 35 anni;
Palena Nicola, gelese di 37 anni, già detenuto;
Parisi Gianluca, gelese di 36 anni;
Pennata Alessandro Emanuele, gelese di 36 anni;
Portelli Paolo Franco, gelese di 20 anni;
Romano Andrea, gelese di 25 anni;
Scerra Filippo, gelese di 44 anni;
Scilio Alessandro, gelese di 39 anni;
Tomaselli Massimiliano inteso “Emiliano”, gelese di 38 anni;
Traina Giovanni, palermitano di 44 anni, trapiantato a Gela;
Truculento Giuseppe, gelese di 51 anni.

Agli arresti domiciliari:
Cammalleri Samuele Antonio, gelese di 32 anni;
D’Antoni Giuseppe, gelese di 30 anni;
Cosca Laura, gelese di 25 anni;
Famà Aleandro, inteso Scarabeo, gelese di 23 anni;
Peritore Benito, gelese di 43 anni, già detenuto;
Infurna Calogero Daniele, gelese di 36 anni;
Vella Giuseppe, palermitano trapiantato a Licata di 66 anni.

Sono attivamente ricercati Antonuccio Salvatore, inteso orecchie di plastica, gelese di 42 anni e Simone Gaetano, gelese di 48 anni.

Salvo Catalano

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