Gela, il bilancio della procuratrice che indaga sull’Eni «In Basilicata nuclei specializzati, qui manca personale»

«Le indagini lucane hanno mostrato come in Basilicata operi il Nucleo Operativo Ecologico dei carabinieri. Qui a Gela invece manca personale specializzato in materia ambientale. In fondo il nostro è il lavoro di una piccola Procura sotto organico». Lucia Lotti, procuratrice della Repubblica a Gela ancora per qualche giorno, scandisce le parole con pazienza. Spiega, traccia schemi, incrocia dati. 

Uno dei suoi ultimi provvedimenti nella città del golfo è la richiesta di rinvio a giudizio di 22 dirigenti e tecnici della Raffineria di Gela e di Enimed con l’accusa di disastro innominato e altre ipotesi di danneggiamento e violazione della normativa ambientale. Trentacinque sono solo le pagine di contestazioni. I grattacapi per Eni insomma non vengono solo dalla Basilicata. «Un lavoro che raccoglie alcuni filoni di indagine che sono stati approfonditi nel corso degli anni – spiega la procuratrice – e che vede fonti probatorie acquisite sia presso Rage che Enimed, ministero dell’ambiente, organismi di controllo oltre alle perizie acquisite attraverso due incidenti probatori diretti ad analizzare le ricadute di emissioni in atmosfera degli impianti industriali e a stabilire le condizioni del sottosuolo e della falda». 

L’accusa contesta in pratica alterazioni delle matrici ambientali che avrebbero creato un pericolo per la salute pubblica, andando a intaccare la catena alimentare. Si pensi ad esempio alle coltivazioni della piana di Gela attraversate dagli oleodotti o al mar Mediterraneo che lambisce gli impianti. L’attenzione si è concentrata, in particolare, sulle emissioni in atmosfera della centrale termoelettrica, sui gas bruciati dalle torce, sull’utilizzo del pet-coke, sulle discariche e i rifiuti pericolosi. Indagini nelle quali, come torna a precisare la pubblica accusa, «è confluito un vasto materiale: segnalazioni dei privati, numerosi episodi di inquinamento, sfiaccolamenti, emissioni maleodoranti. Dati, analisi, ricostruzioni peritali, singoli accadimenti sono stati valutati ed incasellati». E negli atti sono confluite anche le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo effettuato in tribunale sulle malformazioni neonatali

Nuove contestazioni che si aggiungono ad altre per le quali già pendono processi, come per le malattie professionali correlate all’esposizione all’amianto. «La contestazione di disastro innominato non elide quelle per reati ambientali relative a singoli eventi e vicende già in fase dibattimentale», chiarisce ancora la procuratrice. Insomma: un procedimento che si concentra definitivamente sulla presenza industriale a Gela, sulle sue conseguenze e suoi significati. E forse un punto di partenza anche per le tanto chiacchierate bonifiche. Il reato specifico di omessa bonifica è stato introdotto soltanto dalla normativa recente del 2015. Si contesta tuttavia che «non essendo state effettuate adeguatamente operazioni di bonifica ambientale si è di fronte a un comportamento omissivo – spiega ancora Lotti – che concorre nel terminare l’effetto di disastro». 

Da parte sua il cane a sei zampe, alla notizia della chiusura delle indagini gelesi, aveva emanato una nota stampa in cui segnalava come «l’impatto ambientale dello stabilimento industriale di Gela è stato oggetto sia di una valutazione preventiva da parte delle autorità amministrative competenti in fase di rilascio delle autorizzazioni necessarie a operare, sia successivamente, nell’ambito di monitoraggio e controllo svolte dagli enti preposti». Una nota molto simile a quella diffusa nei giorni scorsi in merito alle indagini relative al centro oli di Viggiano, in Basilicata. Dalla quale si ricava che Eni avrebbe agito a norma di legge. Anche le indagini lucane, d’altra parte, si sono basate su dati ministeriali e sempre in contraddittorio coi tecnici della multinazionale italiana. Su questo punto la procuratrice di Gela rileva che «in simile linea di difesa non si esclude che l’industria possa inquinare, ma si sottolinea che si tratta di attività autorizzata. La questione in realtà è molto più complessa e le articolate contestazioni formulate ne danno conto».

Andrea Turco

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