Futuri medici di famiglia senza stipendio «Costretti a lavorare in nero per vivere»

Borsisti, specializzandi o semplici dipendenti della Regione? Dopo la vittoria dei medici specializzandi di tutta Italia, in protesta un mese fa contro il il decreto Cresci Italia del governo Monti, i medici in formazione specifica in medicina generale di Catania hanno una sola certezza: da mesi non ricevono un euro per la loro attività professionale. «Attività professionale esclusiva, non possiamo integrarla con nessun lavoro da liberi professionisti, trattandosi formalmente di una borsa di studio», tiene a precisare Giuseppe Longo, medico che frequenta il primo anno del corso triennale che ogni anno in Sicilia forma 90 nuovi futuri medici di famiglia. «Percepiamo solo 11mila euro l’anno e paradossalmente il decreto Monti ci avrebbe aiutato, permettendoci almeno di non pagare l’Irpef». Loro hanno comunque appoggiato la protesta dei colleghi specializzandi, «chiedevamo solo di modificarlo così da permettere anche a loro di non pagare l’Irpef» precisa Longo, per il quale adesso l’emergenza è ben più grave: dei circa 850 euro che dovrebbe ricevere al mese – la metà di quanto percepisce un medico specializzando – finora non ha visto nulla. Così, mentre i loro “colleghi” a livello nazionale indicono uno sciopero bianco di cento giorni e proprio ieri hanno organizzato un sit in davanti a Montecitorio per chiedere un migliore trattamento economico (qui il video) i medici in formazione catanesi protestano per ottenere ciò che spetta loro di diritto.

«In realtà il nostro compenso sarebbe una borsa di studio ma, dovendoci pagare sopra le tasse, anche senza ritardi non è raro che un corsista rinunci a causa dei costi fissi annuali: 430 euro alla cassa medici100 euro l’iscrizione all’albo e l’assicurazione obbligatoria», spiega Augusto Garofalo, corsista del secondo anno. «Ci impediscono di lavorare, anche volendo – aggiunge Longo – e allora alcuni di noi accettano turni notturni nelle guardie mediche pur di guadagnare qualcosa. E non è raro che i medici nelle nostre condizioni accettino di lavorare in nero».

«La Regione deve integrare per legge con il 49 per cento la quota che versa il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), che finora era sempre bastata. Attendiamo solo una deliberazione della giunta regionale», fanno sapere intanto dal dipartimento per le Attività sanitarie e osservatorio epidemiologico. Giovanni Di Paola, funzionario dell’ufficio, cerca di spiegarne il motivo: «E’ perfettamente normale il ritardo, di solito il pagamento dal Cipe arriva dopo un anno – afferma Di Paola – Le somme sono destinate alle varie annualità ma solo dopo che vengono attivate». La Regione ha quindi ricevuto dal Cipe le somme per pagare i corsisti già iscritti nel 2011 e «provvederà a breve a saldare i mesi mancanti» continua Di Paola. «A Siracusa e Ragusa le Aziende sanitarie provinciali, che ci pagano dopo aver ricevuto i soldi dalla Regione, non hanno mai avuto problemi – afferma Augusto Garofalo – Il problema è a Catania e Palermo, dove i corsisti sono tanti» . E la sua tesi è confermata dalla Regione: «Abbiamo chiesto alle Asp di anticipare le somme mancanti, ma quelle di Catania e Palermo, ospitando la maggioranza dei corsisti, non possono anticipare le somme complete» spiega Di Paola, che ha anche una parola di solidarietà per i medici: «Capiamo benissimo la loro situazione, ma sono le regole che impongono questa situazione».

«Attualmente i corsisti del primo anno di Catania non hanno percepito nessun mensile» confermano dal Dipartimento per le Attività sanitarie. E non va meglio ai colleghi degli anni precedenti: «I corsisti del secondo anno hanno percepito le somme fino a novembre 2011, quelli del terzo anno fino a settembre». La delibera della giunta regionale, che integrerà i fondi Cipe con soldi dovuti della Regione, dovrebbe arrivare entro il mese di maggio.

In generale, i corsisti di medicina generale si considerano degli «specializzandi a metà», nonostante rivendichino pari competenze e responsabilità rispetto ai colleghi che svolgono i tirocini nei reparti universitari. «Abbiamo metà stipendio, e metà diritti» afferma Manuela Cocuzza, al primo anno di corso. «Le donne non hanno diritto alla maternità e per le sostituzioni in guardia medica e dei medici di famiglia, le uniche che ci sono consentite, non abbiamo nessuna priorità» continua Manuela, che aggiunge: «Il paradosso è che un medico specializzando può invece svolgere libera attività pur facendo più ore settimanali. Le nostre sono solo ventotto». «Ma un medico specialista che frequenta il corso non può svolgere l’attività nemmeno per l’autorità giudiziaria», conclude Chiara Napoli, specialista in medicina legale che frequenta l’ultimo anno del corso.

[foto di surroundsound5000]

 

Leandro Perrotta

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