Siamo in tempi di crisi economica, e questo già lo si sapeva. Mentre il mondo del lavoro continua a sbandierare i principi delle pari opportunità, dell’imprenditorialità giovanile, della flessibilità, delle capacità di adattamento e dell’apertura al mercato europeo, maturo qualche personalissima riflessione a tal proposito.
Giunta all’ultimo anno universitario mi assale qualche dubbio sulle scelte da prendersi per il futuro. Laurea breve in Lettere moderne o prossima specializzazione in Storia: mi si para davanti un bivio (anzi, trivio):
a) per ottenere l’abilitazione all’insegnamento (medie o superiori) dovrei continuare con altri due anni di tran tran universitario, ovvero, la famigerata SISS, Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento della Scuola Secondaria (le elementari spettano ai laureati in Scienze della formazione), a numero chiuso, con frequenza obbligatoria e numero variabile di esami a seconda del ramo scelto.
Da notare che l’accesso a tale scuola si basa su prove scritte a dir poco strane (nell’ultima sessione c’erano quesiti come: , o ). La SISS viene, inoltre, gestita da professori interni all’università che non si sa bene che cosa di nuovo abbiano da dirci dopo cinque anni che li ascoltiamo, sebbene ammetto possano essere molto preparati in certi settori.
Finita questa SISS, salvo esaurimenti nervosi, (in totale sette anni di studio, come per medicina!) potrei accedere alle graduatorie per diventare insegnante, non di ruolo ovviamente, ma partendo dalla gavetta, maturando – forse anche per tutta la vita – esperienze da supplente. I punti per salire in graduaturia sono abbastanza discutibili, per esempio: se fai supplenza in una scuola di montagna ottieni il doppio dei punti di un’insegnante di città, o sei hai fatto il servizio militare ottieni sei punti di vantaggio su chi non l’ha fatto.
La SISS è una creatura relativamente recente, conseguente alla riforma Moratti, nata inizialmente come supporto per chi aveva conseguito una laurea “vecchio ordinamento” rispetto ai privilegiati (?) destinatari del 3+2, mentre oggigiorno la fanno un po’ tutti per poter insegnare, nell’attesa che – si vocifera – la cancellino del tutto per dare l’abilitazione all’insegnamento soltanto dopo cinque anni di Lettere.
b) Dottorato di ricerca: percorso stimolante intellettualmente, prestigioso teoricamente, fallimentare nella pratica di potersi costruire un futuro certo. Le ultime manifestazioni in varie università d’Italia non lasciano dubbi che la speranza di ottenere posti da ricercatori è una chimera. Coloro che ricercatori già lo sono vivono con l’angoscia della riconferma da parte della propria università o con l’incubo delle bollette e dei mutui da pagare, visto che gli stipendi tendono a calare e il costo della vita ad aumentare.
c) Concludere l’esperienza universitaria e tuffarsi – da pesce fuor d’acqua – nel mondo del lavoro. Un qualunque lavoro, per quanto poco retribuito, è meglio di nulla. Magari sperare e accendere un cero ciclopico in chiesa per trovare un lavoro in un settore vagamente in relazione ai miei studi (museo, biblioteca, supplenze al di fuori di una graduatoria ufficiale…)
d) Dimenticavo che c’è anche l’opzione di tendenza che allarma da tempo le istituzioni, ovvero “fuga con il mio cervello all’estero”.
Naturalmente dovrei recitare anche un mea culpa. Non è forse un impulso autolesionista laurearsi in Lettere o Storia quando il mondo gira attorno e dentro il Web o tra lifting e calcio e reality show? Indubbiamente. Però, a tal proposito, per salvare un poco la mia scelta mi si concedano tre attenuanti. Prima di tutto ho sempre amato i miei studi e pur di lavorare sulla base di questi forse troverò anche il coraggio di arrampicarmi sui monti e fare supplenza nelle malghe. Inoltre una possibilità non del tutto remota che tolgano la SISS e che entri in graduatoria ci sono. E per finire, ultima attenuante: siamo tutti sulla stessa barca. Una mia amica, laureata triennale con 110 e lode a Roma, in “Scienze informatiche e dei mass media” (il massimo dell’attualità), è da un anno in cerca di lavoro, anche breve e poco retribuito e occasionale. Nel suo campo non ha trovato nessuna offerta e per non girare ancora un altro anno come una trottola si è presentata ad un colloquio come commessa in un negozio Calzedonia. Andava tutto bene finchè nel suo curriculum non hanno letto che è laureata, e la risposta del proprietario è stata a quel punto: “Se lei è laureata cercherà prima o poi un altro lavoro, mentre noi cerchiamo una ragazza senza prospettive migliori che rimanga a fare qui la commessa per sempre”. Lascio a voi ogni commento.
Links utili:
http://www.unict.it/sissis/
http://www.unict.it/CareerCentre/
http://www.unict.it/cof/
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