«Lo stacchiamo ora, che dici? Tanto chi minchia ci deve vedere». È piuttosto tranquillo Salvatore Renda, si guarda attorno e non fa che ripetere che in quella zona «non c’è un’anima viva». Sono circa le sei del pomeriggio del 7 aprile 2017 e, durante un sopralluogo, cerca in tutti i modi di rassicurare il compagno di scorribande, Antonino Alvarez, nel gruppo solo Nino. Ma questo non ne vuole sapere, e alla prima automobile di passaggio si fa prendere dal panico e inizia a mettersi in fuga, lasciando Renda lì per strada. È convinto che una vettura della polizia li abbia individuati e seguiti. Ma non è così, non quella volta almeno. E in un anno, dal 2017 a oggi, di furti lui e la sua squadra ne mettono a segno davvero parecchi. Sono una sessantina circa quelli documentati dagli inquirenti con l’operazione di stamattina, Red Gold, che ha portato nove persone del gruppo ai domiciliari, mentre per un altro componente è stato disposto l’obbligo di dimora a Palermo. Il modus operandi era uguale per ogni colpo.
«Sono nove matasse, tre pali abbiamo fatto. Poi, lì, abbiamo fatto altre sei matasse, lì sopra. E domani di nuovo lì sono. Qua mi faccio una macchina alla sera». Il copione sarebbe stato sempre lo stesso: entrare in azione la notte per trafugare il maggior numero di cavi di rame tagliati via dai pali dell’alta tensione. Fili poi suddivisi e raccolti in matasse, legati con del nastro adesivo. Abbandonati poco distante per tornare a riprenderli con calma nelle ore successive. Questo il quadro che emergerebbe dalle indagini dei carabinieri di Cefalù che oggi hanno sgominato un’agguerrita banda specializzata in furti di rame. Il gruppo di malviventi avrebbe agito soprattutto nel Palermitano, con raid nella fascia costiera tra Cefalù, Finale di Pollina e Campofelice di Roccella. Ma, secondo gli inquirenti, non avrebbero disdegnato anche puntatine in altre province.
Tra i colpi, alcuni sono stati portati a termine a Sambuca di Sicilia: qui la banda sarebbe tornata spesso, ogni volta caricando le proprie auto con decine di chili del prezioso oro rosso, di notte ignari di essere pedinati e intercettati 24 ore su 24 dai militari. «Quanti pali abbiamo fatto in pratica Carmelo?» domanda Alvarez, e Di Stefano, un altro presunto complice: «Sì, tre pali perché un palo i tre pali che abbiamo fatto lì». Dalle intercettazioni emergerebbe anche un riferimento alla canna da pesca, opportunamente modificata e utilizzata dai malviventi per asportare il rame in totale sicurezza: «Gli ho detto “Ma che stai facendo France’. Ah, tu hai rotto la canna e mi vuoi dare a me quella rotta. Scaltro sei però, cioè tu mi stai facendo andare là a me con la canna rotta e se poi non ce la facevo?” Che discorsi sono». In molti casi, avrebbero seguito il personale delle società di distribuzione di energia: «Dobbiamo fare prima, dobbiamo arrivare dov’è arrivata l’Enel». Durante i pedinamenti, i militari avrebbero scoperto anche la vendita della refurtiva, occultata nella vettura colma di 80-90 chilogrammi di rame, trasportata in via Decollati dove, in un garage, avveniva la vendita del prezioso materiale a 3,20 euro al chilogrammo.
Ma non si accontentavano solo di mettere le mani sul cosiddetto oro rosso. Le indagini e gli accertamenti condotti nel corso di un anno collegano i componenti della banda anche ad altri episodi criminali: dai furti negli appartamenti ai colpi contro alcuni punti vendita della catena francese Leroy Merlin. Insomma, avevano proprio un bel da fare. «È buono che in una settimana usciamo quattro volte, Nino…ni basta e na suvecchia…Facciamo quattro volte rame e due volte Leroy Merlin», dice ancora Salvatore Renda, ignaro di essere intercettato. Il complice Alvarez però lo invita a essere più cauti: «Ora qua ci dobbiamo calmare Sa’…Altrimenti noi facciamo puzza…Perché se vanno a prendere le registrazioni delle telecamere…Se finisce qua, finisce per sempre». E Renda in effetti non può che dargli ragione. Bisogna imparare a volare basso, qualche volta. «Ci guardano in faccia Nino e appena noi continuiamo a venire ci individuano e dicono appena entrano questi li dobbiamo fare arrestare! Hanno imparato a fare arrestare le persone, prima no, prima ci facevano andare, ora sono diventati cattivi e devi vedere se non trovi qualche sbirro in borghese là dentro», risponde l’amico, alludendo a una delle piazze solite per i loro affari di rivendita, Ballarò.
Ma è un attimo, e passano di nuovo al prossimo colpo, è una dipendenza quasi alla quale non sembrano essere in grado di sottrarsi. «Intanto queste idropulitrici gliele dobbiamo fregare», insiste infatti Alvarez riguardo all’ennesimo colpo da mettere a segno. E, anche stavolta, Renda è d’accordo con lui: «Sì, secondo me di quello che gli è scomparso questi non hanno capito niente, pensano “Forse le abbiamo spostate queste cose”». Insomma, la banda non disdegna di prendersi gioco delle vittime dei furti. Per non parlare del loro linguaggio: dalle intercettazioni infatti emerge una certa dose di violenza nel modo di alcuni di parlare, durante la progettazione dei colpi da realizzare o nei successivi commenti a furti commessi. Una violenza però solo verbale, visto che comunque non sembra che girassero armati e dalle indagini non risultano a loro carico aggressioni: un modo insomma per gonfiarsi, per riempirsi la bocca.
Proprio come quando il solito Alvarez parla di un altro piccolo criminale che si era fatto beccare, prima che anche loro finissero nel mirino degli inquirenti: «Io lo avrei ammazzato a questo, gli avrei dato quattro pugni in bocca a lasciarlo morto a terra, mi volevo rompere le mani nei suoi denti». Un linguaggio molto forte per disegnare, forse di sé, un’immagine da duro che però, a giudicare dalle carte degli inquirenti, non sembrerebbe corrispondere con la realtà.
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