Costume e società

Il friscalettu, simbolo della tradizione siciliana che appassiona i giovani: «Io ho iniziato a 15 anni»

Un viaggio nelle tradizioni siciliane secolari attraverso la figura del friscalettu. «Un flauto a becco di canna diritto a bocca zeppata, chiamato anche zufolo», spiega a MeridioNews Salvatore Tomasello della liuteria che si trova a Catania nella zona di San Giovanni Galermo. Un luogo che è punto di riferimento nel mondo e che collabora con musicisti di fama internazionale, suonatori siciliani e appassionati che vogliono portare a casa il suono più autentico dell’isola. Il friscalettu è lo strumento principale del folklore siciliano, insieme alla zampogna a paro, al marranzano e al tamburello. Risalendo alle origini «è stato durante la dominazione ellenica che è arrivato nell’isola grazie ai pastori greci. Fino alla prima metà del secolo scorso, veniva usato nelle feste da ballo o durante le lunghe giornate insieme al gregge». Il modello 7+2 (sette fori sopra e due sotto) – chiamato catanese – è il flauto di canna più conosciuto tra tutti quelli presenti in Sicilia.

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Quella di Salvatore Tomasello per il friscalettu è una passione che ha radici lontane: «Quando avevo 15 anni, mio padre aveva un vecchio marranzano in casa e mi parlava dell’esistenza di altri strumenti tipici siciliani. Cercando in giro, mi sono accorto che il friscalettu era uno strumento difficile da trovare se non come souvenir». E, quindi, non adatto davvero a suonare. «Così, abbiamo provato a costruirne diversi e alla fine ci siamo riusciti. «Sono passati più di dieci anni dalla costruzione del primo friscalettu efficiente e di quella che io chiamo Liuteria Galermo, impegnata anche in lavori su mandolini e chitarre: tutto questo perché mio nonno e il mio bisnonno erano barbieri musicisti e – tra la fine dell’800 e il ‘900 – suonavano la musica nei saloni da barba con questi strumenti».

Per realizzare un friscalettu «si inizia con la ricerca e la stagionatura della materia prima: la canna comune – spiega Salvatore Tomasello al nostro giornale – Si deve tagliare nel periodo più freddo, cioè durante la luna calante, e si deve prediligere la canna cresciuta lontana dall’acqua. Questo perché le fibre sono molto più fitte e garantiscono una durezza maggiore rispetto a quelle cresciute vicino ai corsi d’acqua». Altro elemento fondamentale è poi la pazienza. Le canne, infatti, «devono stagionare per almeno tre anni, poi saranno pronte per essere tagliate in cannoli». Che è la distanza che va da un nodo all’altro. «La canna però – aggiunge l’esperto dello strumento – non è l’unico materiale che è possibile utilizzare per realizzare un friscaluttu: si usa anche il legno di ulivo, di mandorlo, di erica, di pero, di ebano o di pistacchio».

Una passione che è nata e continua a vivere nello stesso quartiere. Con una sorta di marchio di riconoscimento che Tomasello imprime su ogni strumento che esce dalla liuteria, ovvero una croce di Malta. «Sin dal 1580 esiste una confraternita, di cui faccio parte, dedicata a San Giovanni Battista – spiega – che ha origine dall’antico ordine dei cavalieri di Malta. Ho scelto questo simbolo come a voler dire che i miei strumenti sono made in Galermo». Una tradizione che incuriosisce anche i giovani. «Ci troviamo in un periodo di rinascita». Non solo per i suonatori, ma anche per costruttori. «Anche se siamo ancora solo in pochi a essere in grado di costruire uno strumento di prima qualità, manifattura, intonazione e voicing – sottolinea Tomasello – è bello che sempre più persone coltivino questa passione».

Una tradizione che sta al passo con i tempi fondendosi ai gusti differenziati delle generazioni, ma che al contempo mantiene la sua autenticità. «E così al repertorio più antico, costituito da balletti, si sono aggiunte nuove forme musicali da ballo di fama internazionale tra cui valzer, polca, mazurca, quadriglia e contraddanza». E anche un tradizione con non resta soltanto nei confini dell’isola. Alcuni degli strumenti costruiti da Tomasello «sono finiti nelle mani di musicisti professionisti sparsi in tutto il mondo: dalle Americhe alla Kamchatka, passando per i paesi europei fino all’Australia. Insomma – conclude – è una soddisfazione esportare un po’ di San Giovanni Galermo nel mondo».

Chiara Gangemi

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