Continuano senza soluzioni di continuità i fischi in occasioni delle recenti manifestazioni sportive: la coppa Italia Napoli-Juventus disputatasi qualche settimana fa a Roma e Italia-Spagna di questi ultimi giorni. Contestazioni allinno di Mameli che hanno suscitato lindignata protesta prima del Presidente del Senato, Renato Schifani, e poi del presidente del Coni, Gianni Petrucci, ed ancora del presidente federale, Giancarlo Abete e, per finire, del ministro del Turismo, Piero Gnudi. I quali, indignati allunisono, si sono affrettati ad affermare che i copiosi fischi piovuti allindirizzo dellinno nazionale sono incivili, inaccettabili frutto di comportamenti beceri sotto tutte le latitudini da parte di persone irresponsabili che non si rendono conto del danno che provocano con questi comportamenti frutto della loro ignoranza.
Ebbene, non risulta che altrettanta indignazione e sconcerto il presidente Schifani abbia mai manifestato in passato, quando i leghisti, per lunghi anni suoi alleati di governo, in più occasioni non facevano altro che irridere e fischiare linno nazionale, manifestando poi di volere, come spesso era uso ripetere Bossi, fare un uso poco igienico del tricolore. Affermazioni e dileggi, da parte di questi signori che oggi si indignano, che passavano – con la Lega al governo – sotto un silenzio un silenzio permeato da tanta ipocrisia, per opportunità e per amor di quieto vivere.
A questi indignati dellultima ora, anche per colmare la loro ignoranza, di cui tanto saccentemente tacciano gli altri, vale bene ricordare che linno di Mameli non è mai stato linno ufficiale della Repubblica italiana, bensì un inno ufficioso o, per meglio dire, precario come del resto lo è la maggior parte di tutto ciò che avviene in questo nostro Paese.
A ben vedere, per quanto infatti diremo, il precario e ufficioso inno di Mameli si può definire a buon diritto linno che la massoneria impose alle nascente Repubblica italiana nel lontano 1946 in sostituzione della marcia reale che aveva caratterizzato il precedente periodo monarco-fascista.
Vi siete mai chiesti perché il nostro inno nazionale inizia con la parola fratelli? E, su questo, vi siete mai dati una risposta? Fratelli dItalia, lItalia sè desta sono infatti le prime parole dellinno di Mameli. Un inno di chiara connotazione massonica musicato da Michele Novaro e scritto, nellautunno del 1847, dal fratello Goffredo Mameli (al quale, a riprova della sua appartenenza e devozione ai liberi muratori, sarà poi dedicata a futura memoria una loggia) che, non a caso e da buon framassone, lo fa iniziare con la sintomatica e significativa parola fratelli.
Un inno scritto dal fratello Goffredo Mameli nel 1848 e riproposto un secolo dopo, il 12 ottobre 1946, da un altro fratello, il ministro delle guerra dellallora governo De Gasperi, il repubblicano Cipriano Facchinetti, da sempre ai vertice della massoneria con la carica di Primo sorvegliante nel Consiglio dellOrdine del Grande Oriente dItalia e affiliato alla loggia Eugenio Chiesa. Fu in quella data – ottobre del 1946 – che Facchinetti, quale ministro della guerra, impose che linno fosse suonato in occasione del giuramento delle Forze Armate. Da quel momento Fratelli dItalia divenne, come lo è tuttora, de facto, linno ufficioso della Repubblica italiana.
Inno ufficioso e provvisorio, perché mai de iure istituzionalizzato con alcun decreto e, ancor di più , perché non contemplato dalla nostra Carta costituzionale come lo è – sancito dallarticolo 12 della stessa Costituzione – listituzione del tricolore come bandiera nazionale. Un inno che rimane, pertanto, per le cose dette, ancora ad oggi, privo di ogni ruolo e di ogni qualsivoglia definizione istituzionale.
Da quanto argomentato si può altresì facilmente desumere che linno degli italiani fu un inno, nella sua lunga gestazione, fortemente voluto dai massoni che tanta parte, come sappiamo, ebbero nelle vicende che portarono ad una mal digerita Unità dItalia.
Fu immediatamente dopo lUnità dItalia che il Sud si destò e si accorse, sulla propria pelle e a proprie spese, di che pasta erano fatti i fratelli che erano venuti a liberarlo. E forse proprio nel ricordo di tutto questo, di una mal digerita Unità dItalia che ancor più si appalesa a danno dei meridionali, sempre più ricorrenti, negli ultimi tempi, piovono i fischi sullufficioso e precario inno nazionale. E alla luce di quanto detto coloro che oggi si indignano ipocritamente a convenienza dovrebbero di tutto questo prenderne atto e loro malgrado farsene una ragione.
Foto di prima pagina tratto da stefanobisi.it
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