Francesco Renga: musica, parole e rischi

“Tutti qua per te ma come ci viene?” è il messaggio di benvenuto (tratto dall’omonima canzone dell’ultimo album “Ferro e cartone”) che studenti e fans hanno scritto sulla lavagna per salutare Francesco Renga, una delle voci più interessanti del panorama musicale italiano.

Nell’aula 75 del complesso dei Benedettini, venerdì 9 febbraio, in un clima goliardico, quella che doveva essere una semplicissima esercitazione di “Tecnica del giornalismo”, organizzata dalla professoressa Maria Lombardo in collaborazione con radio Zammù, si è trasformata in una grande manifestazione culturale.

Francesco Renga è parso subito emozionato e particolarmente teso e, allo stesso tempo, dall’ironia sempre pronta. Certamente il calore e gli applausi del pubblico (non solo femminile) lo hanno aiutato a superare l’impasse. Ed è stato lui stesso a confessarlo: “Per quanto io possa sembrare una persona aperta, quello che vedete è il prodotto di un lavoro lungo sulla mia personalità e sul mio carattere. In realtà io sono molto schivo, parlo pochissimo e le mie emozioni vengono fuori solo attraverso il mio lavoro che è non solo una necessità economica ma anche e soprattutto un modo per esprimere le cose che altrimenti non avrebbero voce“.

Si è parlato del suo libro più ancora che di musica. Francesco ha pubblicato recentemente “Come mi viene”: “Per motivi assolutamente casuali, come al solito, sono riuscito a concretizzare questo progetto guidato da un istinto abbastanza folle che mi porta a fare scelte pericolosissime e a salvarmi in extremis. Mi ero impegnato col grande editore Carlo Feltrinelli, al quale avevo raccontato quasi tre anni fa questa storia che era solo nella mia testa e l’avevo venduta come lavoro già finito e poi son stato costretto a farlo veramente, per dignità. È stato difficile perché scrivere libri non è il mio mestiere e poi perché io son convinto che ognuno debba fare il suo mestiere, quello per cui ha talento“.

Renga ha dichiarato che per lui “il processo artistico e compositivo è sempre irrazionale”. Per il cantante scrivere un libro è stata un’esperienza forte che gli ha dato una maggiore libertà espressiva perché “nella canzone c’è più pudore perché poi son io a cantarla“. E poi il libro non ha “certi paletti come la canzone che, invece, deve condensarsi in tre minuti e mezzo e devi star attento alle rime”. E comunque, in entrambi i casi “esprimersi è un atto difficile. Io stesso capisco solo a posteriori quello che volevo dire“.

L’artista ha dimostrato di possedere un carattere forte e ben determinato, con uno sguardo concentrato al presente. Quando gli hanno chiesto se avesse o no rimpianti, con le mani sempre tra i capelli, ha sostenuto che “io non tornerei indietro e non cambierei nemmeno le cose drammatiche perché oggi sono il prodotto di quelle cose sbagliate, dei drammi. Son contento di quello che sono“. E questo stato di grazia è testimoniato dalla tranquillità con cui parla della separazione dal gruppo: “il divorzio coi Timoria è stato dettato dalla necessità di raccontarmi con parole che fossero mie. È stato un grande rischio tentare la carriera solista”. E a questo punto si è levata una voce dal pubblico che ha galvanizzato l’aula: “grazie per aver rischiato“. Si è respirato un clima da stadio mentre Francesco, timidamente, continuava ad arricciarsi i capelli.

Renga, tra una domanda e l’altra, ha confessato di amare la musica d’autore, soprattutto De André e Battisti e tutto il rock anni ’70. Delle sue letture ha preferito non parlare. Ha citato solamente Carver perché “ha una grande capacità di trasmettere emozioni che scardinano con storie semplici, banali e grottesche, lasciando segni nella mia anima”. Ad una ragazza che gli ha chiesto con chi vorrebbe collaborare in futuro, ha risposto col sorriso sulle labbra che “nessuno lo considera” e che se dipendesse da lui gli piacerebbe duettare con Elisa o con Ligabue e, perché no, anche con Bono e Mina.

La conferenza si è chiusa con l’invito a prendere parte al concerto che si terrà nel capoluogo etneo, al Palacatania, il primo aprile.

Giacomo Coniglione

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