Found photos in Detroit in mostra a palazzo Sambuca Racconto della città attraverso le sue foto abbandonate

Una mostra da non perdere, non ci sono altri termini per recensire Found photos in Detroit, l’evento allestito all’interno di palazzo Sambuca in via Alloro. Un lavoro nato quasi per caso, quello dei fotografi Arianna Arcara e Luca Santese, tra i fondatori del collettivo Cesura, il gruppo indipendente di fotografi uniti nell’intento di produrre progetti di fotogiornalismo, documentari e di ricerca artistica. «Nel 2009 ci trovavamo a Detroit – racconta Santese – per fare un reportage sulla città distrutta dalla crisi. Mentre ci trovavamo per strada però abbiamo iniziato a trovare delle foto. Ne abbiamo trovate molte in una zona che si trovava tra un tribunale e una stazione di polizia, entrambi abbandonati. Ce n’erano veramente tante, provenivano dagli archivi, alcune erano distrutte dagli agenti atmosferici, altre conservate perfettamente, e abbiamo iniziato a collezionarle». 

I due fotografi torneranno una seconda volta a Detroit, sei mesi dopo, raccogliendo altro materiale: «Circa 1500 foto in totale». A questo punto il progetto ha preso una strada tutta sua: Sentese e Arcara catalogano il materiale, cercano di fare delle ricostruzioni logiche di queste fotografie, che sono per gran parte di polizia: foto segnaletiche, evidenze di reato, scene del crimine, ma anche fotografie di quotidianità: «Questa è la foto di un coro gospel, queste sono foto di torte», continua il fotografo indicando le immagini esposte, che abbracciano un arco di tempo che va dagli anni ’70 ai ’90. Alcuni dei reperti ritrovati nello scenario post-apocalittico in cui si presentava la capitale statunitense delle automobili tra il 2009 e il 2010 sono un pugno allo stomaco, i soggetti sono per lo più afroamericani e tra vittime e carnefici ci sono anche dei minori, come il bambino che mostra all’obiettivo del poliziotto i segni degli abusi subiti.

«Abbiamo trattato queste immagini per quello che sono: dei documenti». Pochissimi i testi, per lo più fogli, lettere, trovate anche loro in mezzo alle strutture abbandonate di Detroit, che rappresentavano spesso corpi del reato correlati alle foto. Altre fotografie, invece, con l’alterazione chimica di acqua, sole e pioggia, si sono trasformate in veri e propri dipinti. «Qui abbiamo messo la nostra autorialità, anche se molto limitata – spiega ancora Sentese -, abbiamo scelto undici immagini e abbiamo tentato di amplificarne la leggibilità con degli ingrandimenti ad alta risoluzione». Dal volto di un uomo immortalato da una polaroid e poi sgualcito dal tempo alla veduta aerea della casa di un criminale che ora sembra più un dipinto astratto. 

Dal lavoro dei due fotografi è nato un libro, che prende lo stesso titolo della mostra e che è stato inserito nel terzo dei volumi scritti da Martin Parr e Gerry Badger, che annoverano Found photos in Detroit tra i 200 migliori libri di fotografia pubblicati dopo la seconda guerra mondiale. «Il libro – dice Arianna Arcara – si presenta come un archivio, non ci sono neanche i nostri nomi in copertina e la narrativa è costituita dalla disposizione e dall’editing delle immagini». E il libro è stato anche oggetto di polemiche negli Stati Uniti, dove la critica ha un po’ sofferto il racconto di una quotidianità che riguarda molto spesso l’equilibrio socialmente fragile della società, della questione afroamericana e di una polvere che spesso si preferirebbe nascondere sotto al tappeto del perbenismo. La mostra sarà visitabile fino al 7 ottobre

Gabriele Ruggieri

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