Foto di Peppino Impastato in vendita all’insaputa della famiglia «Alcuni sono scatti privati, chi lo ha fatto andrebbe denunciato»

Uso personale, una presentazione professionale o newsletter, sito web, riviste e libri, marketing e affari. Per ogni utilizzo che potresti fare di una determinata foto corrisponde un tariffario. Un ventaglio di prezzi che in una delle più grandi agenzie online di vendita di foto al mondo, la piattaforma inglese Alamy, parte da dieci euro e arriva fino a 180. La scelta è tra circa 160 milioni di immagini, dalle panoramiche ai video, dai paesaggi ai personaggi. Sfogliando questo enorme database può capitare di imbattersi davvero in qualunque cosa. Persino in un minuscolo Peppino Impastato ritratto a cavalcioni su un triciclo, in uno scatto d’epoca in bianco e nero dove lui sta in mezzo fra papà Luigi e mamma Felicia. E anche in quel caso la regola è la stessa: se vuoi questa foto devi pagarla, sborsando una cifra che cambia a seconda di ciò che con quell’immagine devi farci. Ma puoi scegliere tra altri 35 scatti sullo stesso tema, uno stock tutto dedicato dove puoi trovare un Peppino già adulto alla marcia della pace organizzata a marzo del 1967 da Danilo Dolci o le foto dei cortei del 9 maggio di alcuni anni fa. Ma come ci sono finite quelle foto, specie quelle d’epoca che appartengono alla famiglia, in questo enorme calderone di contenuti visuali?

«Me lo chiedo anche io», sbotta Giovanni Impastato, fratello del militante comunista ucciso da Cosa nostra nel ’78. «Alcune di queste sono le foto di una recente mostra, chi le ha cedute a quest’agenzia? Ma poi addirittura mettendole in vendita? Questa cosa andrebbe denunciata – osserva -, a chi vanno i soldi per foto di questa natura, cioè anche personali, della mia famiglia, che sono state appunto condivise in una mostra aperta al pubblico e non certo messe in vendita?». Il ricavato viene diviso tra il venditore che fornisce quel dato pacchetto di immagini e l’agenzia stessa che ti permette di venderle. «Fotografi indipendenti possono caricare le loro foto sulla piattaforma, che le rivende e retrocede parte degli introiti. Rivendono anche contenuti di pubblico dominio o con licenze permissive. In pratica il vantaggio per l’acquirente è che, pagando relativamente poco, può essere sicuro di non avere noie legali perché la responsabilità se la prendono loro», spiega l’informatico palermitano Giorgio Maoneinventore del plug-in di sicurezza più utilizzato in tutto il mondo come estensione di Mozilla Firefox da più di 12 anni. 

«Sono stati pesantemente criticati perché a un certo punto hanno cambiato le loro condizioni contrattuali con i freelance – torna a spiegare -, pretendendo di conservare diritti perpetui e irrevocabili su tutto il materiale acquisito, e ci sono state anche controversie sull’utilizzo di alcuni materiali che loro ritenevano di pubblico dominio ma invece erano soggetti a copyright». Sulla piattaforma, del resto c’è un paragrafetto apposito, «reclami di copyright», dedicato proprio a questo aspetto: «Se ritieni che un dato materiale sul sito web di Alamy possa violare qualsiasi copyright che possiedi o controlli, puoi segnalare tale violazione al nostro agente designato», in sostanza telefonando o spedendo una missiva virtuale direttamente all’ufficio legale di Milton Park, nel Regno Unito. «Si può, intanto, intimare l’agenzia di rimuovere l’immagine dal marketplace, poi se la vedranno loro con quelli a cui l’hanno venduta», chiarisce ancora Maone. Ma non la faranno un po’ troppo facile? 

Intanto, ad imbattersi per primo nelle immagini di quello che per lui è stato un amico storico è l’artista Paolo Chirco, rimasto particolarmente amareggiato dalla scoperta. «Per caso sono approdato sul sito Alamy, e sempre per caso ho cercato Giuseppe Impastato e con disgusto è uscito quello che vedi nella schermata che ho anche pubblicato sui miei canali social. La foto, che si trova tra l’altro in rete un po’ dovunque, credo sia della famiglia Impastato. Non so chi l’abbia messa in vendita». Sotto alle prime immagini, quelle dell’infanzia di Peppino, alla voce “contributor” spunta infatti un non meglio precisato «History and Art Collection», che in realtà conduce a un paginone generico fatto da oltre novemila altre immagini senza alcun legame apparente fra loro. Sgomento, incredulità e rabbia, intanto, restano nell’animo dell’amico. «Quanto vale una foto con Peppino? Chissà a chi va l’incasso oltre che alla piattaforma – non può non domandarsi -. Quella dell’ultimo comizio a quanto pensate la possa piazzare?», conclude con sdegno. «Questa cosa è allucinante – commenta anche Luisa Impastato, nipote di Peppino -. Li ho contattati, voglio vederci chiaro».

Silvia Buffa

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