Formazione, la parola a Mario Centorino: “Non ho privatizzato il settore”

da Mario Centorrino

ex assessore regionale alla Formazione professionale,
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Caro Direttore,

i nostri percorsi professionali, dopo l’infausta vicenda del L’Ora di Palermo, si incrociano di nuovo. Assisto nel giornale on-line da te diretto, e che seguo con interesse per il carattere dei suoi contenuti, ad una sistematica denigrazione del mio lavoro passato di Assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale.

Nel rispetto della libertà di espressione “conteggio” queste critiche, talvolta al limite dell’offesa personale, come inevitabili ricadute della mia attività di amministrazione.

Ci sono alcune questione che vorrei però chiarire. Mi si accusa di aver voluto “privatizzare” la formazione professionale. Credo di aver semplicemente salvato il settore da un drastico ridimensionamento dovuto alle ristrettezze del bilancio (la cui posta per la formazione non era più possibile finanziare come nel passato). E, questo, come è accaduto in altre regioni, legando la formazione professionale ai fondi europei ed alle loro regole ed assicurando una programmazione triennale (il che potrebbe consentire agli enti della formazione processi di ristrutturazione e nuovi investimenti). Al tempo stesso, ottenendo l’estensione della cassa integrazione in deroga per i lavoratori della formazione così, se ben utilizzata, da favorire questi processi.

È evidente che il meccanismo dei Fondi europei ha “rotto” il circuito chiuso in cui operavano gli enti, ma le clausole di salvaguardia adottate non credo abbiano creato sconvolgimenti in merito alla continuità di presenza. Non so se questa sia stata una “privatizzazione”. Dal mio punto di vista è stato un “salvataggio” cui dovrebbero seguire norme di moralizzazione, razionalizzazione, controllo di qualità, rafforzamento dei legami con la domanda di lavoro.

Approfitto della tua disponibilità per estendere il mio ragionamento. È opportuno però fare un passo indietro e ricostruire la politica per la formazione professionale dal 2010 al 2012. A questo settore, è bene ricordare, in pochi fino al giorno del mio arrivo avevano prestato attenzione critica.

In questo momento è incontrovertibile annotare forme di “scandalo” nel settore (denunziate con riferimento a presente tipologie da reato da me e dal direttore generale) e la rotazione dei funzionari è provvedimento necessitato anche se non ne conosco le singole motivazioni.

Vorrei però offrirti alcuni elementi di conoscenza che, rispetto a giudizi negativi sulla riforma che si è intrapresa del settore stesso – continuamente pronunziati – potrebbero portare, se non ad un ripensamento, quanto meno a temperare e circoscrivere i giudizi stessi.

Al momento dell’insediamento ho trovato un settore in cui l’occupazione a tempo indeterminato coinvolgeva ottomila lavoratori, con norme contrattate tra i dirigenti (una dei quali, dopo sette anni di direzione è ora segretario generale della Regione siciliana) sindacati e gli enti. Solo a titolo esemplificativo: il costo orario era diverso da ente a ente; si percepivano erogazioni senza che fosse dovuta l’esibizione del Durc.

Ora, accertate e denunziate distorsioni e collusioni, mi sono trovato di fronte a tre alternative:

a) l’azzeramento della formazione professionale, e quindi il licenziamento degli ottomila addetti a tempo indeterminato, attraverso l’abrogazione della legge che la legittima (risalente, come Le sarà noto, al 1976 e mai, purtroppo, messa in discussione) e che aveva creato un mercato “chiuso”, da tutti accettato perché evidentemente composto con criteri consociativi;

b) la modifica della legge stessa inserendo, come mi è stato ripetutamente richiesto, i dipendenti degli enti di formazione in un’agenzia regionale (a proposito, in Piemonte un’agenzia simile è stata dichiarata fallita lo scorso anno);

c) la valorizzazione della buona formazione finanziata con i fondi europei e ispirata ai segnali offerti dal mercato del lavoro attraverso l’introduzione di regole severe ed applicate, oltre che effettivi controlli. Non ti sembri banale questa terza modalità, ben più incisiva ai fini della riforma del settore di quanto non possa a prima vista apparire. E’ proprio questa terza modalità che ho deciso di realizzare con l’aiuto decisivo del direttore generale dell’Assessorato, dott. Ludovico Albert, da me scelto avendo apprezzato la sua esperienza di lavoro nella Regione Piemonte.

La prima infatti avrebbe creato una forma di “macelleria sociale”, contraria alla mia impostazione ideologica. La seconda, grande consenso e forse un posto di deputato, ma un aggravio intollerabile ed insostenibile nel bilancio della Regione.

Resta il nodo di una somma forse quantitativamente elevata (268 milioni) destinata al settore per tre anni, anche se non più a carico del bilancio regionale.

Alcune considerazioni portano comunque a ridimensionare questa problematica. Con il nuovo sistema di finanziamento fondato sul sistema del costo standard e sul controllo di qualità, la somma annuale probabilmente andrà nel breve-medio periodo progressivamente a ridursi (circa 15% in meno ogni anno). E questo impone, come previsto dal piano giovani, riqualificazione e ricollocamento e avvicinamento alla pensione dei cosiddetti esuberi.

Poi è bene ricordare che un terzo della somma stessa è dedicata ad attività dedicate a categorie disagiate. Non ultimo, la formazione professionale coinvolge una larga quota di “ne ne”, giovani cioè che in atto non studiano né lavorano. Contribuendo così da deterrente rispetto a forme pericolose di disoccupazione nascosta.

La formazione “riformata” non continuerà a soddisfare i bisogni delle imprese? Ma esistono oggi bisogni delle imprese non occasionali né numericamente ristrettissimi? Dovrà pur discutersi un giorno chi e cosa sono (con nobili e significative eccezioni) le imprese produttive in Sicilia che assicurano occupazione regolare. Ed in che misura siano penalizzate e scoraggiate dall’assenza nel mercato del lavoro di professionalità competenti a causa di una formazione non adeguata.

Ne fa fede la non utilizzazione dei cosiddetti fondi interprofessionali gratuiti per l’impresa. L’osservatorio sulla domanda e sull’offerta di formazione professionale creato nei mesi scorsi, , ci darà presto dati adeguati a formulare convincenti analisi sul tema.

L’argomentazione della scarsa occupabilità dei “formati” non ha alcuna base di ricerca (entro quale tempo: tre mesi, sei mesi, l’anno e in quale competenza) e comunque se si dovesse applicare alla Università ne determinerebbe l’immediata chiusura. È certo un nodo sul quale concentrare ricerca. Lascio a te giudicare se veramente per la formazione professionale tutto finora è rimasto come prima. O se ben altri potevano e dovevano essere gli interventi sul tema.

Con una precisazione aggiuntiva. Gli enti di formazione hanno nella gran parte rapporti con parlamentari di diverso livello, talvolta trasparenti, qualche volta “incestuosi”. Il nuovo sistema, triennalizzato, toglie a questo rapporto, carattere di dipendenza. Cosi come elimina il problema di una possibile “nuova occupazione”. Con i fondi europei infatti si finanziano progetti, con un bando aperto, e non i dipendenti degli enti.

Quanto al fenomeno della “parentopoli”, esteso peraltro anche ai settori che fruiscono di finanziamenti pubblici, non l’ho saputo cogliere perché ho sempre guardato alla sigla degli Enti (ed a chi vi lavorava) e mai agli organi amministrativi degli enti stessi, visionati dagli uffici e ritenuti legittimi a norme di codice. Plaudo comunque alla proposta di legge Crocetta che porterà chiarezza sul futuro.

Dietro una “piccola” riforma c’è un alto costo da pagare in termini di pressioni contrarie con varia tipologia. Ti posso assicurare che il costo da me allo stato pagato, così pure per il direttore generale, è stato altissimo. Sono stato oggetto di denunzie e minacce. Oltre che condannato dalla Corte dei Conti a risarcire un’integrazione di finanziamento, a parere della Corte, non dovuta. Aggravati dal malessere di non riuscire forse a far comprendere il livello di resistenza occulta rispetto a cambiamenti introdotti che si è affrontato ogni giorno. Ma, riteniamo, ne è valsa la pena.

Ti sono grato per la cortese attenzione, ti auguro buon lavoro e, se fosse possibile, pregherei i tuoi collaboratori di appropriarmi con più modiche quantità il termine “famigerato”.

Grazie dell’attenzione e cordiali saluti

 

 

 

Redazione

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