«Catania, dove sei? Disoccupati, dove siete? Non siate pecoroni, non siate succubi». Carlo Siena, uno dei rappresentanti del movimento dei Forconi, ha già la voce rauca. Da ieri è uno dei principali animatori dell’unico presidio che le forze dell’ordine hanno concesso ai manifestanti, in piazza Università. Lo scenario che nei giorni precedenti si presagiva era ben peggiore di quanto accaduto nel gennaio 2012, quando assieme agli autotrasportatori, i Forconi bloccarono per giorni la Sicilia. Ma dopo le misure restrittive imposte da prefetture e questure dell’isola, la protesta è implosa, lasciando sconforto e molti malumori. Da stanotte è stato abbandonato anche il presidio al casello dell’autostrada Catania-Messina. Ufficialmente, spiega Franco Crupi, «per concentrare le forze e informare le persone in piazza». «Continuare ancora con le strade non ha senso – afferma Sandro Tinnirello – Non possiamo far rischiare alle persone, padri di famiglia, di far prendere delle denunce». La domanda sul flop della protesta provoca un sorriso tirato nei presenti in piazza Università. «Un po’ ce l’aspettavamo, ma non in questi termini – ammette Tinnirello – Tutti bravi sui social network, abbiamo una marea di mi piace e condivisioni. Abbiamo detto e ripetuto, su Facebook non si conclude niente».
«Passeremo il Natale qui con i regali che il governo ci ha dato: tasse», assicura Siena indicando un alberello addobbato con pezzi di carta su cui sono scritti i nomi delle imposte. Una decina di ragazzi dell’istituto tecnico Guglielmo Marconi si occupano del volantinaggio, tra turisti e passanti. Da lontano li osservano alcuni militari. «Non è un corteo, una di quelle minchiate che non fanno ottenere niente – assicura Luca – È per uno scopo, servirà per il futuro». Coinvolti direttamente da alcuni membri dei Forconi, hanno deciso di aderire «perché non è una lotta di classe, è per il futuro. Se non abbiamo le basi, come possiamo pretendere di avere un domani? Questo non è entrato nelle teste dei nostri compagni». A lui fa eco Francesco. «Ci dicono: “Vatinni a scola“. Ma cosa ce ne facciamo di un pezzo di carta firmato?». E i genitori? «Ci hanno incitati. Perché è giusto, facciamo tutti parte di famiglie che non arrivano alla fine del mese».
«Ci siamo resi conto che il mondo delle scuole è molto particolare – analizza Tinnirello – I ragazzi sono molto inquadrati e, a volte, molto politicizzati. È difficile anche avere un semplice contatto, sono molto diffidenti». Difficile coinvolgerli attivamente nella protesta, come ieri mattina in molti tra i manifestanti auspicavano. «Ieri c’era un’assemblea generale delle scuole. Prima ci hanno chiesto di venire, poi hanno detto di no. “Se vedono voi si irrigidiscono”, ci hanno spiegato». Ma ai più giovani Tinnirello rivolge un appello: «Venite, parliamo, conosciamoci. Siamo i vostri genitori, qui perché convinti che non abbiate futuro».
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